mercoledì 30 dicembre 2015

Paolo Benvegnu' @ Monk Club - Roma

28 dicembre 2015

Il regalo di Natale perfetto prima di tornare alle grigie lande del sud-Ontario: l'ultima data del tour di Earth Hotel.
Il posto e' lo stesso di due giorni fa ma la situazione e' completamente diversa; sara' che e' lunedi' sera ma c'e' davvero poca gente, incredibilmente poca, e quella poca sembra ancor piu' radical-chic di quella che s'e' vista sabato sera: questi sono piu' calmi, piu' adulti, piu' "signori". Infondo, a pensarci, non sorprende poi tanto.
Questa sera sono sola, questa non e' un'esperienza che io possa condividere, il mio legame con la discografia del signor Benvegnu', con i (plurale!) Paolo Benvegnu' o con gli Scisma, e' troppo intimo, troppo privato, troppo nudo: un concerto come questo per me non e' un "semplice" evento musicale, non e' solo musica che cerco e so gia' che non e' solo musica cio' che trovero', che' ogni brano mi parlera' di qualcosa: un luogo, una persona, una sensazione, un ricordo, un sogno. Con questi Signori va sempre cosi', c'e' una strana commistione di musica (e che musica!) ed emozioni, una risonanza che non so spiegare ma che mi impedisce di vivere un loro concerto se non cosi', emotivamente nuda.

Entro presto, la sala e' vuota e agguanto anche troppo facilmente un posto in prima fila al centro del palco, con visuale perfetta su tutti i Musicisti.
Dalla mia postazione, sporgendomi, intravedo accanto ai pedali del Signor Benvegnu' la scaletta: non riesco a leggerla, e' troppo buio e in piu' non voglio guastarmi la sorpresa dei brani, ma sembra ragionevolmente lunga: ottimo!, penso tra me.

Presto entra il ragazzo-spalla, chitarrina classica in braccio, voce leggera: e' da solo sul palco, lui con la sua chitarrina, e penso che ci voglia davvero un gran coraggio per affrontare da soli il pubblico di un altro gruppo.
Si presenta come "Frisino", un nome che e' tutto un programma, e li', su quel palco cosi' grande per lui solo, pare un uccellino; quando si rivolge a noi ha la voce che trema ma al dunque e' perfettamente in grado di tirarla fuori e anche piuttosto bene. Soprattutto mi fa tenerezza il modo in cui ci ringrazia: si vede che quel "grazie!, grazie mille!, grazie!" lo pensa davvero con una certa emozione, c'e' una dolcezza poetica nei suoi modi che mi strappa un sorriso.

Quando esce la sala e' ancora semivuota e a questo punto mi sa che non si riempira' piu': d'accordo, e' lunedi' sera, ma data la mia ammirazione per i Signori in questione sono comunque spiazzata.
Nel mentre i tecnici aggiustano il palco, accordano un'ultima volta gli strumenti, cambiano l'asta del microfono. Esce anche Franchi alla ricerca di qualcosa, perlustrano il palco in lungo e in largo, dietro gli amplificatori, sotto la pedana della tastiera; alla fine trovano una borsa e, soddisfatti, escono: a breve si comincera', penso.

Buio.

Il primo ad uscire e' di nuovo Franchi che, con mia massima sorpresa, va ad imbracciare una chitarra: dietro la batteria siede uno che non avevo mai visto e di cui (chiedo scusa) non ho capito il nome. Poi, in rapida successione, entrano anche gli altri.
Applausi.
Franchi mi vede subito, sorride e mi saluta con la mano; lo ricambio con un sorriso e un compiaciutissimo cenno della testa: non ero sicura che mi avrebbe riconosciuta e ovviamente la cosa mi fa molto piacere.

L'apertura e' affidata a "Orlando" e penso che sono degli assassini seriali a voler cominciare cosi': Orlando parla direttamente con me, riconosco la sua voce, mi fa tenerezza e rabbia vederlo li', tranciato dalla sua stessa trebbiatrice... Peccato che il bilanciamento dei suoni sia tremendo: quel basso e' bellissimo ma cosi' e' troppo forte perche' lo si possa apprezzare, mi rimbomba in faccia e non riesco ad gustarlo completamente, nessuno potrebbe. Non finiscono il brano, non danno il tempo al poveretto di sedersi sulle pietre, lo lasciano li' a gridare mentre tutto gli parla di "lei", e attaccano il ritmo incalzante di "Nello spazio profondo" che stasera mi pare piu' incalzante che mai e concede il tempo di sistemare l'audio. E, inevitabilmente, precipito.
A seguire una "Feed the destruction" potente, lancinante, mi prende lo stomaco: addio Roma, addio casa (e non lo so nemmeno piu' dov'e' "casa", se ne esiste davvero una), addio amici, addio... siete tutti troppo lontani, io sono cosi' dolorosamente lontana... in questi giorni sono di passaggio, mi sento di passaggio, e domani tornero' al silenzio di Hamilton, al cielo grigio e pesante del sud-Ontario, al lago che in inverno e' cosi' silenzioso che il suo rumore rimbomba nel profondo del cuore...
Accidenti non posso commuovermi gia' al terzo brano!, dovrei riprendermi, vorrei riprendermi, ma i Signori non me lo consentono: parte "Avenida silencio", e il mio sguardo torna su King Street, sul ponte della superstrada in una mattina di novembre di un anno fa, mentre camminavo in mezzo a una bufera di neve per andare all'universita', con questa musica nelle orecchie e il pensiero rivolto a Roma morta non in un giorno ma in un istante, in questo istante: "Avenida silencio" e' e restera' quel posto li', quel momento li'... La chiudono con un finale sonico bellissimo, con Franchi che fa magie sul sintetizzatore ed e' un brivido sotto la pelle.
Non paghi fanno seguire "Una nuova innocenza" e capisco una volta di piu' come in quest'anno, dopo un inverno a Hamilton, un giugno sconquassante e un autunno confuso, il mio sentire sia cambiato: non posso pensarci adesso, non ho nessuna voglia di farlo. Guardo il batterista, i sorrisi che gli rivolgono gli altri, e penso che se la sta cavando egregiamente.
Ora anche Baldini mi ha vista e mi fa un cenno col capo: sorrido di rimando e penso che e' incredibile che si ricordino di me.
Finalmente mi concedono un attimo di respiro e suonano "Quando passa lei" che mi riporta a un tempo felice; anche questa volta come sempre, mi strappa un sorriso e un pensiero a cio' che non lascero' mai uscire dalla mia vita: l'intermezzo sonico che ci regalano e' una perlina auditiva che mi riporta nella sala e costringe i miei occhi sulle loro mani, sui loro strumenti.
Segue "Il mare verticale", condita con stacchi sexy-blues che suscitano un orgasmo sonoro: li godo tutti, uno per uno, li lascio penetrare. Quanta bellezza...
La pausa sarebbe finita, "Avanzate, ascoltate" mi scuote le ossa e sta per lanciarmi su un divano in una stanza dalle pareti gialle ma non voglio permetterlo, e' ora di riprendere il controllo della situazione e concentro tutte le energie sul palco, sui musicisti, sulle note che Lazzeri, da li' dietro, accarezza con garbo, sul finale sonico che mi esplode in faccia e mi stordisce.
E' un concerto supersonico quello cui sto assistendo, un concerto bellissimo.
"Il prossimo brano" dice Benvegnu' "e' di un album un po' vecchio che si chiama Hermann, si intitola "Love is talking" ed e' un brano cui siamo molto legati". Vorrei dir loro che anche io sono legata a quel brano, quel giro di basso si attorciglia intorno a me e fa tremare l'aria: cerco di guardare con attenzione le mani di Baldini, vorrei imparare a suonarlo ma ho gia' dimenticato troppo e chissa' ormai quanto ci mettero' a ricostruirlo...
Al termine del brano suoni lunghi, lunghissimi, ci introducono a una versione super-rock di "Suggestionabili" che gridata cosi', con questa potenza, con questa intensita', con questa nudita', e' straziante: mai come oggi l'ho sentita cosi' dolorosamente mia.
Poi altri fischi morbidi e caldi ci conducono per mano verso "Io e te" e qualcosa in quei suoni me la fa indovinare in anticipo: alzo lo sguardo verso Benvegnu', dritto davanti a me, faccio appena in tempo a pensare "vabbeh, allora uccidimi!" ed ecco un altro balzo indietro, le alpi marittime, il cielo in una stanza d'albergo, Mina... associazioni di idee troppo facili per non scadere in un vergognoso cliche'. Franchi allunga i suoni all'infinito con una slide, i tempi sono dilatati come a prolungare la mia agonia (ma che bell'agonizzare!), "e poi dimmi se ci sei" grida Benvegnu' dal fondo dello stomaco, il brano esplode e torno in me.
Alla fine del brano Benvegnu' e Franchi riaccordano le rispettive chitarre in drop-d e di nuovo capisco immediatamente; "Johnny & Jane" suscita in me sentimenti contrastanti di benessere macchiato di attese disattese, perche' nella vita vera la paura non va via montando su un cavallo bianco (che per altro non arriva mai) ne' su un volo transoceanico: fa molto piu' effetto pedalare con tutta la forza che si ha nelle gambe a meno quindici in riva all'Ontario ghiacciato, sotto un cielo grigio pesante come un coperchio. Sorrido e riporto l'attenzione al palco, all'arpeggio, alla Musica.
Alla fine del brano un inchino e via, spariscono rapidamente dietro le tende.

Pausa.
Brevissima.

Sono di nuovo fuori, con "Io ho visto" che mi ricatapulta su un treno, ma e' solo un attimo, un battito di ciglia: tutta la mia attenzione e' incentrata sulle note e sui ritmi di questo brano bellissimo e ne lascio fluire la Musica fuori e dentro di me.
Poi "Nel silenzio" mi strappa un sorriso, mi inumidisce gli occhi di dolcezza e mi toglie il respiro: pensavo che avrei visto altro e invece, a quanto pare, c'e' ancora l'ulivo di Largo Murialdo pochi mesi prima di discutere la tesi di dottorato, poco prima che la Vita prendesse quello spin portentoso la cui forza centrifuga mi ha spedita in Canada.
A chiusura di questa seconda parte "E' solo un sogno" come un anno fa, ma anche qui mi accorgo che la mia percezione e' cambiata e questa volta sono sul 16 in direzione Toronto, sulla QEW, in quel punto della strada dove all'improvviso, da dietro il gruppo di grattacieli residenziali che introducono alla citta' (anzi, alla Citta') appare il lago, si vede la CN Tower avvicinarsi e il cuore si apre alla meraviglia.

Ri-Pausa.
Ri-brevissima.

Emergono e riattaccano da uno splendido finale per "E' solo un sogno", un bell'assolo di Franchi, una notevole coda rock: "prima aveva fatto un finale troppo magro" dice Benvegnu' indicando Franchi con un bel sorriso.
Suonano "Sempiterni sguardi e primati" che tocca ancora una volta le stesse corde, perche' a distanza di un anno mi sento ancora persa nel mondo che ho osato cercare. Questa volta pero' il finale lo cantano davvero e mi rendo conto che se un anno fa avrei pianto tutte le lacrime del mondo oggi mi tocca in modo diverso; la ragazza alla mia destra invece si toglie gli occhiali, si passa una mano sugli occhi e quest'immagine mi colpisce violentemente lasciandomi intuire che qualcosa sta cambiando, che il tempo e' passato, e del resto lo vedo ogni giorno nello specchio, in quel primo capello incontestabilmente bianco di cui vado fierissima, e chissa', forse e' vero che sto camminando bene.
E cosi', su questo pensiero, parte "Cerchi nell'acqua" (cosa avevo scritto un paio di mesi fa a proposito del Signor Uomonuovo che cercava di "riconoscersi per cerare"?, sorrido) per il gran finale sonico-rock: questo e' il messaggio con cui i Benvegnu' ci salutano e chiudono un tour durato quasi un anno e mezzo... occhei, messaggio ricevuto, credo.
Presentazione dei musicisti (e niente, il nome del batterista non l'ho capito...), tre inchini, applausi, buio.

Mi siedo su un divanetto ad aspettare (sperare) di veder emergere Andrea per salutarlo; mi dico che posso aspettare un quarto d'ora e se non esce vado a casa ma sono fortunata, esce prestissimo e mi faccio avanti. Sorride nel vedermi, ci abbracciamo e ci raccontiamo vicende e impressioni dell'ultimo anno quasi fossimo vecchi amici: mi colpisce il pensiero di come l'esperienza con musicraiser abbia fatto nascere una specie di amicizia: anche Luca, quando esce e mi vede, mi saluta con un abbraccio al grido di "la canadese!", ma poi, come e' logico, passa oltre.
Domani ho il volo per Toronto e sono gia' stanca morta, ma Andrea ha voglia di chiacchierare e del resto anche io: i miei tentativi di andar via sono debolissimi nonostante sia una settimana che dormo si' e no quattro ore a notte, nonostante mi aspetti un viaggio di piu' di quindici ore (tra una cosa e l'altra). Sono stati giorni cosi' belli - tra parenti, amici e musica - che tutto sommato mi dico che potro' dormire a Hamilton con Ofelia accanto, che questa e' la mia ultima notte a Roma per un po' e vorrei non finisse mai.
Chiacchieriamo a lungo con Andrea, del Canada, dell'Italia, della vita del matematico, di quella del musicista, mi offre da bere e poi, da gran signore, insiste per non lasciarmi da sola alla ricerca di un taxi a Portonaccio: mi offre quindi un passaggio sul pulmino verso il loro albergo da dove mi fara' chiamare un taxi.

Sul pulmino ad un certo punto trovo il coraggio di girarmi verso Benvegnu', seduto dietro di me, e di ringraziarlo del bellissimo regalo che mi hanno fatto nel venire a chiudere il tour a Roma la sera prima della mia partenza: lui mi ringrazia di rimando e mi stringe la mano con un gesto caldo e sincero.
Poi invito Andrea a venire a suonare a Toronto e li' Benvegnu' mi guarda e dice, con una naturalezza che mi spiazza, "tu hai scritto una cosa bellissima: grazie!" (uh?, io?, cos'e' che avrei fatto?) "massi'... una recensione personalissima in cui c'era quest'immagine dei tuoi passi nella neve..."
Dio...
...seriamente?, l'ha letta?, davvero?, e lo ha colpito tanto da associare Toronto a quello che ho scritto?, io, la matematica con l'animo rock, quella che non ha mai avuto il coraggio di provare a fare la musicista e si e' accontentata di suonare per se' stessa e ancor piu' per se' stessa tiene un blog su cui recensisce, per il bene di nessuno se non il suo, gli album e i concerti che la colpiscono in un senso o in un altro... io, con queste idee sconnesse che riporto a tempo perso, sarei riuscita a colpire le persone che mi prendono a pugni nello stomaco ogni volta che suonano una nota su disco o dal vivo? Andiamo, non ha nessun senso... vorrei dire che non e' niente di che, che sono loro a fare cose meravigliose, che io reagisco e basta, ma mi esce un pessimo "no, vabbeh, tu mi hai fatto male..." cui lui reagisce con un "tu invece mi hai fatto bene...". Metto su il tono spavaldo di quando mi sento fragile e dico che in un paio di giorni arrivera' anche il racconto di questa serata; e' vero ovviamente, e' lo scritto che state (ma voi chi?) leggendo, ma la verita' e' che se fossi da sola probabilmente piangerei e basta: eggia', ho la lacrima facile quando si tratta di commuoversi, ma non in pubblico, mai in pubblico.
...certo che sono ridicola: trentadue anni buttati!
Andrea mi chiede del mio lavoro, dei miei "conti": l'immagine del matematico che fa i conti coi numeri e' difficile da sradicare ma la verita' e' che i matematici sono dei pazzi, dei sognatori, dei poeti... o almeno io lo sono e per la prima volta, nel cercare di spiegarmi con lui, trovo la giusta immagine poetico-musicale, imprecisa ma evocativa, per raccontare cosa faccio.
E in un qualche modo, paradossalmente, lo capisco anche io per la prima volta.
Io non cerco di sfondare nessun limite, il muro dell'ignoto lo lascio sfondare ai professionisti, a gente piu' seria e preparata di me; se me lo chiede un matematico, in gergo, io vado a caccia di moti quasiperiodici in sistemi perturbati; per tutti gli altri - e infondo per me stessa - io cerco l'armonia la' dove dovrebbe esserci il caos, e questo perche' ho intimamente bisogno di credere sia cosi' che va il mondo, perche' l'armonia deve sopravvivere al rumore.

E sul taxi verso casa di mio padre, ripensando alla conversazione con Andrea, un'idea mi fulmina, un'idea semplice e bellissima, di quelle che ti fanno sentire il re degli imbecilli per non averci pensato prima, come solo le idee giuste sanno fare: l'unica speranza che ho per fare matematica davvero bene e' quella di ritrovare l'equilibrio e conciliare la matematica col mio animo di musicofila.
Cosa questo significhi all'atto pratico non ne sono ancora sicura, ma capisco intimamente che e' quello che devo fare.
Un ultimo grazie allora, piu' che mai, dal profondo del cuore.
Ad Andrea, a Benvegnu', agli abbracci degli amici, a quelli dei parenti, ai ritorni in Europa con cadenza piu' o meno semestrale che servono un po' a fare il punto della situazione e a dare nuovo slancio in avanti.
Ora mi aspetta un altro inverno canadese ma paradossalmente non vedo l'ora di affrontarlo: sono sopravvissuta una volta, posso farlo di nuovo e meglio.
Io non... io non ha piu' paura.
Davvero.
Grazie.

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