San Pietroburgo e' una citta' molto difficile da catalogare: elegante come Vienna, magniloquente come Parigi, bella come Roma, curata come Zurigo, affascinante come Venezia, colorata come nessuna.
Fortemente voluta da Pietro il grande che l'ha fatta a immagine e somiglianza delle piu' belle citta' europee e delle loro corti sfarzose: ma lui era lo Zar della grande Russia e quindi doveva essere di piu'. Doveva essere proprio li' dove la Neva si getta nel mar Baltico, per favorire e ampliare la connessione commerciale e culturale con l'Europa, e tutti dovevano sognare di trasferirvisi nonostante il clima decisamente sfavorevole (e questo lo dice una che ha visto il "winter blues" nell'Ontario del sud). Ha fatto portare tutta la pietra di tutte le citta' della Russia, perche' la pietra doveva essere solo li', perche' la corte doveva essere li', in una versione ingigantita di Versailles; ha chiesto ad architetti italiani (i migliori in circolazione) di disegnare edifici e monumenti; ha voluto che i grandi scienziati sedessero alla sua mensa; ha voluto giardini labirintici dove passeggiare d'estate ed enormi palazzi dagli interni dorati dove scaldarsi durante l'inverno; ha imposto uno stile di vita europeo ad amici e sudditi.
E nonostante l'insormontabile barriera linguistica (in pochi parlano o capiscono l'inglese), nonostante il fortissimo vento gelido del nord che non si ferma mai, nonostante sia difficile togliere completamente quel velo di malinconia tipica dell'est dal fondo dei loro occhi, questa gente lo vedi che e' diversa, che e' europea per atteggiamento e stile.
La mia prima volta a San Pietroburgo risale a quasi undici (argh!) anni fa: ero stata prima a Mosca, poi un giro per l'Anello d'oro e infine, dopo una notte su un improbabile treno da film verista, ero arrivata qua, nella citta' che sognavo di vedere da quando, a quindici anni, l'avevo percorsa fianco a fianco con Raskol'nikov nel suo vagare sconclusionato. E gia' allora (sicuramente aiutata dal passaggio preliminare per Mosca) avevo capito chiaramente la differenza.
Oggi, a quasi undici anni di distanza, e' aumentato esponenzialmente il traffico (non parlero' mai piu' male del GRA, lo giuro) ma a parte questo non e' cambiato niente.
L'inverno canadese oltre ad avermi ovviamente forgiata abbastanza da farmi soffrire meno il freddo ha arricchito di esperienza il mio sguardo verso l'esterno: i SanPietroburghesi non sono Europei, questo no, ma ai miei occhi lo sono senz'altro di piu' dei Torontesi e degli Hamiltoniani.
"San Pietroburgo e' una citta' nuova, ha solo 300 anni" ti dicono gli indigeni, la' dove gli Hamiltoniani commentano "Hamilton e' una citta' antica: ha quasi duecento anni"....
Ed e' bella, bella da pazzi.
E i suoi colori spezzano il fiato, e i suoi canali fanno innamorare, e la sua imponenza ti incatena l'animo, e i suoi parchi danno pace (allenarsi tra i castagni alle sette del mattino e' un'esperienza mistica, lo giuro), e la Neva apre il cuore.
In giugno poi succede una cosa bellissima, che puoi pure saperla, ma vederlo, viverlo, e' un'altra cosa: non e' mai buio.
Mai.
A mezzanotte, il momento piu' scuro, comunque il cielo non e' nero: alle due comincia ad albeggiare mentre i ponti sulla Neva sono ancora su per far passare le barche e il silenzio e' interrotto solo dalle nostre voci entusiaste.
Poi, quando finalmente torni a Pulkovo, cerchi di osservarne i dettagli come da promessa; non appena passi i controlli ti fanno entrare nel duty-free dove sei circondato da infinite bottiglie di vodka. Sorridi. E' scarno; pochi negozi, poco cibo-spazzatura, pochi posti a sedere: fino ad ora non l'avevi sentito, ma a quanto pare qualcosa del comunismo, in forma debole, e' ancora vivo anche a San Pietroburgo.
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