mercoledì 14 gennaio 2015

Cartolina da Bali, parte 1.

Ieri sono tornata da Bali e a botta calda butto giù le mie sensazioni. Sovrana regna la delusione: mi aspettavo di andare in vacanza e invece quest'isola mi ha costretto ad viaggiarci dentro, mi ha invitato subdolamente al relax solo per schiaffeggiarmi più sonoramente.
 E' stato evidente da subito che viene chiamata l'isola degli dei perchè per poterla apprezzare devi guardare in alto e non certo per misticismo o spiritualità. Devi scavalcare con lo sguardo la povertà, lo squallore, la sporcizia, l'arretratezza e soprattutto le frotte di turisti che la soffocano. In effetti sono contenta di essere andata prima che sia troppo tardi: in un'isola grande circa un terzo della sardegna transitano 4-5 milioni di turisti, più 3 milioni di residenti. L'obbiettivo del ministro del turismo è di sfiorare i 20 milioni di turisti annui entro il 2018. Bali imploderà, affonderà come Atlantide, non lo so, ma vi assicuro che 25 milioni di persone lì non ci entrano, a meno di non stiparle come sardine nei resort, e in effetti, il trend è quello.
 Comunque andiamo con ordine: sono stata 12 giorni, suddivisi in 5 tappe, in questo post le prime due, prestissimo le altre tre (Amed, Lovina e il parco nazionale, Pemuteran)

Kuta. Uno apprezza Kuta nella misura in cui è apprezzabile il sistema fognario di una città: se non ci fosse, la merda arriverebbe alle caviglie ovunque, ma certo non è un bel posto dove soggiornare. In questa cloaca indonesiana stagna il turismo di massa e il suo indotto: resort, traffico, periferie squallide, criminalità, traffico, rumore, polizia corrotta, venditori assillanti. Siamo fuggiti dopo meno di 12 ore.

Ubud. La capitale culturale di Bali, dicono. Ora, dobbiamo metterci d'accordo sulla definizione di cultura. Nel senso classico, in effetti si trovano templi particolarmente articolati, gallerie, musei. Ma se sei europeo e hai in mente Roma, Parigi, Barcellona, Vienna, beh, devi cercare di non farti venire in mente Roma, Parigi,  Barcellona o Vienna. Se invece concordiamo su una nozione di cultura più estesa, includendo anche quella del consumo, allora sì: Ubud è assaltata da turisti e risponde a questo assedio con barricate di negozi di souvenir, ristoranti, hotel e surreali negozi occidentali, tipo ralph lauren. Appena svolti un angolo ti trovi in aperta campagna, risaie a perdita d'occhio e finalmente inizi a pensare che non ti sei fatto 20 ore di volo per sgomitare tra tedeschi ustionati, scavalcando immondizia e declinando generose profferte di taxi e mignotte.



4 commenti:

  1. ...permettimi un salto concettuale che mi viene immediato: un Paese (uno a caso) la cui economia sia basata esclusivamente (sic) sul turismo non puo' che tentare di incrementare il suddetto turismo fino a livelli aberranti... e mi fa paura.

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    1. Hai ragione, fa venire i brividi... Rimando la mia piccola analisi socioeconomica a un prossimo post, ad esempio vien da chiedersi che fine faranno tutti questi capitali in entrata (e sono tanti, solo di visto 55 dollari a turista, contro lo stipendio medio che è di circa 120) e da come sembra tirare l'aria, non credo una bella fine. Confrontarsi con le persone del posto è stato bellissimo e terribile insieme.

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