sabato 13 dicembre 2014

Paolo Benvegnu' @ Container - Grottammare

12 dicembre 2014

Le follie si possono fare solo per amore e solo quando l'amore e' intenso, altrimenti non si fanno, non ne vale la pena, non ci si spendono soldi, tempo e fatica: solo un grande amore puo' smuoverci a tal punto, e se leggendo capirete il mio grado di follia forse vi sarete fatti un'idea dell'amore.
Perche' la verita' e' che amo quest'uomo milanese (sic), la sua voce calda, roca e profonda, le parole (che come direbbe lui sono pietre ambiziose) il suo stile compositivo, cosi' come amo il gruppo di musicisti assolutamente geniali di cui ha imparato a circondarsi negli anni. E li amo quasi come amo i cuneesi anche se chiaramente in modo diverso: quelli sono un amore ancestrale, il colpo che ti arriva da ragazzo e non ti molla piu', una parte imprescindibile del mio essere; questi sono un amore maturo, adulto, cosciente, posato eppure intenso come pochi altri.

Salgo su un improbabile treno alle 17:40, arrivo a Fabriano in ritardo e perdo la coincidenza, sicche' mi ritrovo li', da sola, nel nulla. Ma e' noto che non sono una che si scoraggia o si arrende: chiamo un taxi. Si', da Fabriano.
Lungo la strada chiacchiero col tassista, persona carinissima, piacevole chiacchierata: questa mattina mi mandera' un messaggio per sapere se sto bene e com'e' andata a finire, ma questa e' un'altra storia e si dovra' raccontare un'altra volta.

Giungo in quel di Grottammare con l'acqua alla gola, il tempo di lasciare lo zaino col computer e la piccola valigia in albergo e sono gia' fuori nella notte alla non facile ricerca del locale: dopo aver camminato su e giu' un paio di volte chiedo a due ragazze dentro una macchina, anche loro sperdute come me, sicche' unendo gli sforzi raggiungiamo finalmente il posto.

Entro e mi guardo intorno: il palco e' poco piu' alto delle mie ginocchia, nella sala ci saranno si' e no cento persone (per sentire il disco dell'anno dal vivo?, davvero?, possibile?, davvero in questo paese non ci si accorge delle perle cui si danno i natali?) tutti troppo intimiditi per agguantare un posto in prima fila... se penso al pubblico delle grandi citta' mi viene da sorridere con affetto.
Poi pero' quando la musica del dj tace la gente vince un poco la timidezza e si avvicina al palco; lo faccio anch'io e mi ritrovo in prima fila, in una posizione fantastica per gustarmi la sezione ritmica, i miei prediletti.

I "Lettera 22" salgono sul palco accompagnati da un applauso di incoraggiamento: basso, batteria, tastiera e chitarra, attaccano un ottimo pop ben suonato. Il batterista e' interessante, la chitarrista (con una "godanica" diavoletto rosso-cupo) accompagna con arpeggi morbidi, il tastierista e cantante ha una bella voce scura e ben impostata, il bassista e' l'essenza portante dell'insieme.
Tra il secondo e il terzo brano sara' proprio il bassista a ringraziare il pubblico, i gestori del locale e Benvegnu': e' visibilmente in imbarazzo, si aggrappa con le mani al manico del basso... vorrei dirgli di non aver paura, che sono bravi, che comprero' il loro disco a fine serata: lo faro' poi, come faccio sempre in situazioni come questa. Suonano nove, forse dieci brani: l'ultimo lo chiudono con un'inaspettata coda noise da brivido che mi lascia senza fiato.
Silenzio.
Buio.

Mentre smontano e rimontano il palco vedo come dei pezzetti di carta colorati attaccati alle aste dei microfoni: plettri per Benvegnu' e Baldini (suona qualcosa col plettro, qualcosa no). Mi guardo intorno, ci saranno si' e no duecento anime: alla mia prima lezione quest'anno penso ci fossero piu' persone... fa un discreto effetto e ci sono tutte le premesse perche' ne venga un concerto stellare.

Dei Paolo Benvegnu' (un gruppo dietro un nome, un volto davanti a un gruppo) il primo a salire sul palco e' Franchi che va a sedersi dietro la batteria, proprio dritto davanti a me, e attacca il ritmo incalzante di "Nello spazio profondo": seguono Lazzeri, Baldini e per finire Benvegnu' (l'uomo): formazione scarna e grande assenza di Ridolfo Gagliano, ma anche cosi' e' un lusso, e' magia. Il secondo brano e' "Una nuova innocenza" e mi trafigge un pensiero: vuoi vedere che sti pazzi mi fanno tutto l'album in fila?, certo sarebbe fantastico, del resto e' un album da ascoltare tutto d'un fiato... ma no, sbaglio, passano direttamente a "Avenida silencio" e mentre la ascolto, mentre seguo cassa-rullante, mentre guardo a occhi spalancati Baldini suonare il bi-corde dell'intro (maddai e' un basso quello?, e' sempre stato un basso?, che meraviglia...) mi rendo conto che un'altra immagine si sta imponendo con forza davanti ai miei occhi: eggia', perche' quest'album l'ho ascoltato quasi costantemente negli ultimi tempi, ogni giorno lungo la strada da casa all'universita' e ritorno, camminando nel freddo autunno canadese, e l'ascolto ha accompagnato la mia strada, i miei passi sempre uguali, sempre a ritmo, percio' "Avenida silencio" per me e' il ponte sulla superstrada che da Hamilton va verso Toronto, lo sguardo a quella specie di cattedrale finto-gotica, la neve che la ricopre, gli aceri dall'altra parte della strada... e cos'e' infondo quella se non una via immersa nel silenzio, i cui rumori sono ovattati dal cadere della neve? Ogni mattina sentirsi ricordare che Roma e' morta in un giorno, la mia citta' che non e' piu' mia, il mio paese che in un certo sento non e' piu' mio anche se lo e' ancora e ne riconosco ogni angolo... Mi perdo un po' dietro questi pensieri e quasi non mi accorgo che siamo passati a "Feed the destruction", altro brano di bellezza sconcertante, uno di quelli che parlano al mio essere, al mio passato e al mio presente: e' incredibile come, quattro album su quattro su quattro, questi signori abbiano saputo cogliere le varie fasi della mia vita di adulta, almeno fin'ora.
E appunto, i Benvegnu' non sono solo Earth Hotel, ha/hanno/ha infilato quattro album uno meglio dell'altro e come ho avuto modo di dire Hermann ha ancora molto da raccontare: lo sanno anche loro per fortuna e ci suonano "Love is talking" (quel basso, ah quel basso!) poi "Moses" (che mi ricorda qualcuno) "Avanzate, ascoltate" (che mi ricorda un momento) e tornano su "Orlando" (che mi ricorda quel che non e' stato e non sara'). Troppo tutto insieme, mi stordisce: chissa' a cosa pensano quando preparano una scaletta, chissa' se capiscono l'effetto che puo' produrre la scelta di un ordine piuttosto che un altro... ma no, non lo sanno, non possono saperlo...
E' la volta di "Piccola pornografia urbana", mi accorgo quasi con stupore di quanto sia usato il capotasto mobile dal Nostro: ha fatto su e giu' per manico per tutta la durata del concerto. Sorrido: le dita di Lazzeri sono un fuoco: le vedo da lontano, sono troppo stordita dalla sezione ritmica, pero' ci sono, le sento e le godo.
Di nuovo un salto indietro, ma ancora piu' indietro, ed e' "La schiena", la mia, che viene scavata lentamente come e' accaduto fin dalla prima volta che ho sentito questo brano; anche qui mi accorgo di avere davanti agli occhi un'immagine, questa volta e' l'incrocio tra viale Marconi e via Pincherle a Roma, io-dottoranda che aspetto l'autobus per tornare a casa dall'universita', un velo di malinconia al ricordo della bambina che aveva paura di andar via lontano... Poi "Quando passa lei" e sono ancora piu' indietro (quanto tempo e' passato?, quante vite?, quante storie sotto le mie dita?) che mi strappa un sorriso benevolo verso qualcosa che infondo non posso dimenticare. Chiude la prima parte del concerto "Io ho visto" e sono tornata su un treno, uno dei tanti, l'Italia che scorre davanti ai miei occhi lucidi, e poi di nuovo quel divano... no. Mi riprendo, assaporo ogni nota, ogni colpo sincopato... meraviglia... Sorrido.

Pausa.
Un respiro breve, brevissimo.

Rientrano e Franchi porta in braccio una chitarra acustica; e' il turno di "Stefan Zweig" e sono miei i passi nella neve, quelli luminosi e perfetti lungo la via che arriva all'universita' a Hamilton, e la neve e' tutto intorno, su quell'acero dalle foglie di un rosso quasi innaturale, quello poco prima del piccolo slargo col praticello: dove sono stata fino ad ora?, davvero a volte, camminando, ascolto e mi sembra di non aver mai vissuto, che la vita dall'altra parte del mondo e' una vita diversa, di qualcuno che e' nato trentenne, dotato dei ricordi di un'altra persona... ho scattato fotografie ascoltando quest'album e ora si impongono prepotenti davanti ai miei occhi. Sul finale del brano Baldini e' alla batteria e Franchi si mette al basso: son bravi anche scambiati accidenti a loro, li guardo con occhi pieni di ammirazione. Poi "Hannah" che ha su di me un effetto strano: mi fa pensare a un padre con sua figlia, e' tornato a casa, la guarda mentre dorme e il suo sguardo e' il mio, leggo l'amore nei suoi occhi e mi intenerisce il cuore, e in un qualche senso divento io quel padre, finche' a un certo punto, come dal nulla, cambia tutto: lui si rivolge a me e io sono io, nella mia vecchia casa di testaccio, pochi giorni prima di partire, ed e' tutto sottosopra, la stanza e' vuota, gli scatoloni sono pieni ed e' un lungo addio. Ma non mi si stringe il cuore, no: sono sorprendentemente serena. Chiude la seconda parte "E' solo un sogno" e si', devo dire che e' bellissimo.

Pausa.
Un respiro ancora piu' breve.

Esce Benvegnu' da solo, imbraccia la chitarra e ci regala una versione dolcissima di "Andromeda Maria", chitarra e voce, commovente. Alla fine del brano escono anche gli altri, Franchi e' di nuovo alla chitarra acustica, parte l'arpeggio di "Sempiterni sguardi e primati", i miei occhi sono stampati sulle sue mani, cerco di appuntare mentalmente quello che sta suonando: quell'arpeggio e' bellissimo, me ne sono innamorata al primo ascolto. E quel brano e' bellissimo... sono io, sempre io, pazza, persa nel mondo che andavo cercando, ma sorrido a tutti e sto bene con tutti... Nel finale (come ci si attende) parte il coro a tre voci, Franchi-Baldini-Benvegnu', ma poi Baldini e Benvegnu', suonando su una corda sola a testa, invece di cantare le ultime linee, quelle che mi avrebbero stesa, attaccano 'I'm dreaming of a white xmas' in totale delirio, passano per un 'vogliamo vincere, la c1 non basta, vogliamo andare in b' (chissa' a quale squadra si riferiscono) e chiudono con un canto natalizio cattolico che al momento mi sfugge: ridiamo tutti. Il gran finale e' lasciato a "Cerchi nell'acqua", altro brano che da sempre mi da grande pace, serenita' e una specie di ottimismo: camminare senza chiedersi perche', purche' si cammini, purche' si vada avanti. Ottimo finale, bel modo di salutare... tre inchini, sorrisi, applausi, fine.

Devo parlare a queste persone, devo provare a spiegare loro che cosa ho fatto per essere qui stasera, fargli capire quanto sono felice di averlo fatto, quanto mi hanno dato in tutti questi anni: meritano di sapere che esiste una pazza scatenata che e' felice di attraversare l'Italia in orizzontale in una notte di inverno per ascoltarli suonare. Compro l'album dei Lettera 22 (ne riparleremo), qualche EP su richiesta esplicita del mio spacciatore e mi metto in attesa.

Il primo che vedo e' Baldini, lo ringrazio, gli racconto la storia di come sono arrivata li', lo ricopro di complimenti (del resto i suoi bassi sono davvero splendidi ed e' vero che finisco sempre per sintonizzarmici) e chissa', forse un po' lo commuovo; poi e' il turno di Franchi che recentemente ho anche finanziato su musicraiser (e sappiate che son convinta ne valga la pena percio' fateci un pensiero), mi offre da mangiare e da bere, poi ballo con loro due: mi avevano vista prendere appunti, guardarli a bocca aperta, seguirne ritmi e giri... uno non ci pensa, io almeno non ci penso, ma dev'essere una cosa che colpisce e fa piacere. Mi danno un passaggio sul furgone, Benvegnu' e' l'ultimo a salire, mi saluta, mi presento, gli racconto: lui non lo sa, loro non lo sanno, non possono sapere, ma quel che mi hanno dato in tutti questi anni e' qualcosa di enorme che non e' neanche facile da spiegare... a un certo punto durante il concerto aveva detto che andare a sentirli suonare e' "come tifare la Fiorentina o il Toro: non si vince mai...". Non sono d'accordo: io penso di aver vinto tutto, penso che e' stata una serata memorabile, che hanno fatto un gran concerto, che ne valeva la pena.
Io, la piccola emigrante, la matematica con l'animo rock: mi chiede se non mi manca avere dei limiti visto che il mio lavoro consiste nel tentare di sfondarli... com'e' buffo il mio lavoro, com'e' difficile spiegare in cosa consiste a chi non ci sta dentro: vorrei dirgli che io non sfondo un accidente, che vorrei capire come e' fatto il mondo, e' vero, ma mi riduco a cercare di avere un'idea vaga di una versione semplificata di un granello di polvere del mondo. Perche' il mondo vero non si puo' capire e allora ne facciamo modelli semplificati sperando almeno di poter capire quelli. Vorrei dire che il mio mestiere in questo senso non e' poi cosi' diverso dal suo, che il mio grande progetto di ricerca decennale e' quello di dire qualcosa della dinamica di un sistema appena perturbato, che un disturbo minuscolo potrebbe rompere tutto ma in realta' lo fa con garbo e forse infondo non rompe davvero tutto, o almeno io non riesco a crederci. Vorrei dirgli che i matematici sono degli eterni bambini che vivono costantemente imprigionati nei loro limiti, che passiamo la maggior parte del tempo a sentirci degli imbecilli, a sbattere la testa contro un muro, che abbiamo si e no cinque minuti di gioia immensa una volta l'anno quando si capisce una cosa bella, che il nostro costante spasmo di cercatori di verita' viene anche dal fatto che sentiamo ballare la terra sotto i piedi e abbiamo bisogno di qualcosa di inconfutabilmente vero... ma non ce la faccio, vorrei essere spavalda almeno un quarto di quel che sembro: riesco solo a dire (piu' o meno) che tutta la mia arte e' quella di sbattere la testa contro un muro ventiquattro ore su ventiquattro finche' prima o poi, ogni tanto, il muro non si crepa un pochino e io capisco qualcosa: che poi infondo e' un riassunto sconnesso di quel che vorrei dire.
Vorrei anche dirgli che una volta mi ha abbracciata, a Roma, alla casa del jazz, tre anni e mezzo fa, la volta in cui ho deciso che Baldini (come ho gia' detto) per occhiali, barba e statura mi faceva pensare a un amico che non c'entra niente (e da quella volta lui per me e' "il P.B. dei Benvegnu'", anche se ieri ho scoperto che lui e' piu' alto del mio amico). Vorrei dire a Benvegnu' che quella volta, per la prima volta, avevo capito che ai loro occhi di musicisti noi-pubblico siamo qualcosa di simile a quello che sono i miei studenti per me: qualcuno a cui dare qualcosa, qualcuno che se ti restituisce un sorriso e un grazie sinceri ti spalanca il cuore, anche se poi non te ne ricordi: non ci avevo mai pensato prima... ma mi sento troppo ridicola all'idea di dire tutto questo e lascio perdere.

Torno in albergo camminando sul lungomare, l'Adriatico che non avevo mai visto, il mare che non vedo da mesi: ho il lago ma non e' lo stesso. Il mare d'inverno e' bellissimo e per fortuna quei quattro soldi per andare al mare, di notte, a immaginare, adesso ce li ho.

E stasera a Padova dal primo amore.

3 commenti:

  1. E come commentare questo post (più una tesina, visto che a leggerla con attenzione ci ho messo il tempo di percorrenza da Milano a Novara) senza il timore di perturbare irrimediabilmente l'intero sistema? è così carico di passione, sentimenti personali e vita vissuta che non si può far altro che leggerlo e ringraziarti di averci reso partecipi di un'esperienza così profonda, bella e significativa per te.

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  2. anche io ho poco da aggiungere, questo post è semplicemente bellissimo

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