venerdì 31 ottobre 2014

Paolo Benvegnù - Earth Hotel [2014]

Un palazzone grigio, o meglio una sua porzione, sulla destra; un mare calmo e altrettanto grigio sulla sinistra; qualche barca parcheggiata come a caso dorme placida nel tramonto nebbioso e le colline in lontananza sfumano nel cielo dove il nome dell'autore e il titolo dell'album si appoggiano leggeri come piume, appena percepibili, oserei dire silenziosi.

Play.

Arriva a distanza di tre anni da quella perla che e' stato Hermann e l'unica cosa che non ti sorprende e' il suo non deludere le aspettative: sapevi gia' che te ne saresti innamorato, che avrebbe richiesto infiniti ascolti per poter dire di essertene fatto un'idea seppur vaga (per quel che mi riguarda Hermann riserva ancora delle splendide sorprese, e devo dire che l'ho ascoltato piuttosto spesso in questi tre anni), ma che comunque gia' ai primi giri avresti trovato parecchi spunti interessanti. Perche' se e' vero che quando uno indovina un album bellissimo non puo' ripetersi e' vero anche che quando uno ne ha infilati tre (senza contare la produzione con gli Scisma e gli EP) in crescendo, uno meglio dell'altro, non si tratta piu' di indovinare.

Dodici brani, dodici stanze di un albergo, quest'albergo in cui noi tutti viviamo, camminiamo, amiamo, ci diamo alla vita, lottiamo per o contro qualcosa, bestemmiamo, ci lasciamo consumare. Dodici storie e un percorso a tappe in ascesa, dal primo piano, dove si sentono ancora i rumori della strada, al superattico, dove l'aria e' limpida e una frase esatta chiude un do diesis maggiore dettato da un pianoforte salvifico: "Eppure e' tutto vero". E lungo la strada ci si destreggia tra pieghe armoniche cariche di tensione e lirismo, ritmi jazz, pop, progressivi, a tratti delicati e a tratti assassini: niente e' lasciato al caso, niente, neanche la scelta delle lingue e delle voci che si rincorrono qua e la'.

La voce di Benvegnu' si fa sempre piu' bassa e roca di mille sigarette fumate con avidita', vibra intensa e avvolgente, stordisce e culla, eppure da qualche parte in controcanto si sente anche la sua versione in ottava alta, quella leggermente nasale che ancora ricordiamo dall'era-Scisma e che a quanto pare e' ancora li'. Si riconosce il tocco artistico, lo stile compositivo, l'anima di un uomo fragile eppur consapevole, intellettualmente onesto, che non smette mai di essere un cercatore di verita' dovunque essa si trovi; l'amore (la sua tematica prediletta) declinato in ogni sfumatura piu' o meno terrena: amore per una donna, per un'immagine, per una figlia, per un padre, per la terra, per gli esseri umani, per se' stessi, per la vita e ancora per una donna che e' insieme quella donna e tutte le donne del mondo; l'amore e la ricerca della sua essenza ultima come spinta continua alla crescita.

E ci sono io che ascolto, io come generico essere umano e io come me stessa, con il mio passato che e' solo mio e il mio presente che sto cercando di capire, e non puo' non essere cosi' per chiunque si metta all'ascolto di un album come questo: la musica e le parole di Benvegnu' parlano all'essere umano, alla sua carne, alle sue viscere, al suo sangue (alcune immagini hanno il sapore della poetica tipica del Benvegnu' post-Scisma, si rincorrono ancora una volta le parole che ho imparato ad associare alla sua voce, al suo modo di pronunciarle: terra, ventre, grano, vita, stupore, occhi, mare, labbra...) ma poi ci sono io qui ad ascoltare e sono io che reagisco, mi emoziono, imparo, condivido opinioni e sentimenti o li rigetto con forza a seconda del caso. A volte parla con me, a volte a me, a volte di me: comunque non lascia indifferenti, non se si e' degli esseri umani.

Dal punto di vista puramente tecnico il mio personalissimo giudizio si conferma definitivamente positivo in merito alla batteria di Franchi e soprattutto ai bassi di Baldini (che cognome, occhiali, barba e statura mi fan sempre fare un'improbabile associazione di idee con un amico che non c'entra davvero niente...), entrambi incalzanti ma senza essere opprimenti; sono pregevoli le chitarre leggermente sporche eppure calde e avvolgenti di Ridolfo Gagliano e dello stesso Benvegnu'; i contrappunti sintetici di Pazzaglia commuovono e il rincorrersi degli archi da corpo e morbidezza al tutto. E ovviamente menzione d'onore a quei controcanti che non riusciro' mai a capire del tutto: solo Benvegnu' e I Cavalieri del Re riescono a confondermi in questo modo. E Harrison su Because, ça va sans dire.
Ma e' l'insieme qui a fare la differenza, perche' e' indiscutibilmente maggiore della somma delle parti; non e' un album che puoi mandar giu' cosi': ci vogliono tempo, attenzione, numerosi ascolti da cima a fondo senza interruzioni, a cuore aperto, ma giuro che ne vale la pena. Per quel che concerne me dovro' sentirlo ancora parecchie volte prima di sentirmi appagata e passare ad altro.

A quanto pare al mio dicembre da quel lato dell'oceano devo aggiungere un'altra tappa non precedentemente prevista: bene cosi'.


Lista delle tracce:

Nello spazio profondo
Una nuova innocenza
Nuovosonettomaoista
Avenida silencio
Life
Feed the destruction
Stefan Zweig
Orlando
Divisionisti
Piccola pornografia urbana
Hannah
Sempiterni sguardi e primati

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