giovedì 9 ottobre 2014

The Horrors - Luminous [2014]

Sfondo completamente nero, uno strano oggetto (una pietra?) viola e blu in primo piano riflette una luce che gli arriva da un punto indistinto; il titolo dell'album e' in alto, bianco: la scritta e' deformata come al passare di un'onda (santo gimp, come avrei fatto senza di te?). Il nome del gruppo e' appena sotto, scritto piu' piccolo e con lettere sottili, come volesse passare inosservato.

Play.

Il mio primo impatto con gli Horrors anni fa era stato piuttosto positivo: non avrei gridato al genio, questo no, pero' si sentiva che c'era del buono inespresso. Ecco, adesso direi che il processo di maturazione e' sotto gli occhi di tutti.
Si leggono in giro infiniti paragoni con altrettanto infiniti grandi artisti del passato piu' o meno recente, in molti cercano di appiccicare etichette improbabili al quintetto inglese: guardatori-di-scarpe del nuovo millennio, resuscitati post-punk ultima generazione, psichedelici di plastica, gotici con l'animo pop, rockettari spaziali e chi piu' ne ha piu' ne metta. Per quel che mi riguarda e' tutto estremamente ridicolo: i ragazzi ci sanno fare, suonano (bene!) della musica bella e piacevole, emozionano. Tanto basta.

Questa loro ultima fatica, lo dice il nome stesso (raramente meglio azzeccato) e' un album luminoso, ma la luce non e' netta e implacabile, semmai sfumata abbastanza da non capirne provenienza o direzione: sebbene non sia carente di una certa delicatissima malinconia, la musica e' energica e brillante, il suono e' studiato per essere corposo, carico di riverberi a volte spostati di quel gradevole mezzo quarto di tono che spiazza, e sicuramente costruito con maggior attenzione al dettaglio rispetto ai lavori precedenti. Le dinamiche sono ben costruite a cominciare dall'apertura in crescendo che fa pensare al lento ma inesorabile sorgere del sole al mattino, finche' bang!, la luce esplode e la vita comincia a fluire.
Le scelte armoniche e stilistiche meritano senz'altro piu' di un ascolto attento, con una menzione d'onore alla coda di "I see you" che mi ha decisamente catturata e rivoltata come un pedalino.
Suoni che si fondono gli uni con gli altri, chitarre che diventano synth e poi tornano chitarre, muri sonori di distorsioni addolciti da tappeti morbidi e suadenti, armonie spensierate ed eteree che ti fanno venire un piccolo sorriso.

Apprezzabile dettaglio, non un solo brano si chiude in fade-out, cosa che in linea di massima ritengo di valore per due ragioni: una e' l'ovvia applicabilita' alla fase-concerto, l'altra e' che il fade-out spesso (ma non sempre eh?) denota l'incapacita' di trovare un modo di chiudere il pezzo. Ecco, in quest'album non c'e' un solo fade-out: i ragazzi trovano un finale adeguato per ogni brano.

Cosa ci sento dentro dal punto di vista emotivo?
Cosi' a naso mi viene da pensare a qualcuno cui volevamo bene che se ne sta andando per la sua strada e per quanto la cosa ci faccia male, per quanto si faccia qualche debole tentativo per impedirlo, ci rendiamo conto che infondo per quel qualcuno e' meglio cosi' e alla fine lo accettiamo.
Che dite, e' un caso che ultimamente mi arrivino tutti album cosi'?, sono io che sento questo messaggio in ogni cosa che ascolto?, il mio spacciatore sta cercando di dirmi qualcosa?


Lista delle tracce:

Chasing shadows
First day of spring
So now you know
In and out of sight
Jealous sun
Falling star
I see you
Change your mind
Mine and yours
Sleepwalk

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