Sfondo marroncino, di quel marrone che ricorda non a caso i palchi dell'Auditorium "Parco della musica" di Roma. L'immagine e' divisa in tre parti: in alto semplicemente lo sfondo, al centro lo sfondo e le scritte, a caratteri enormi, una sopra l'altra "Branca" e "Symphony no. 13", in basso un'immagine del palco della Sala Petrassi con i musicisti seduti in attesa che cominci lo spettacolo.
Play.
Il 28 febbraio 2008 (no, non e' vero, non sono passati dieci anni, e' solo un'illusione ottica... merda!) io ero li', all'auditorium, con il mio ragazzo dell'epoca; ricordo che entrando le signorine ci diedero della cera da mettere nelle orecchie; ricordo che giocherellai con quella cera per l'intera serata senza mai usarla per il suo scopo originario, e successivamente rimase nella tasca della giacca per tempo immemore prima che mi rendessi conto che sarebbe stato il caso di buttarla; ricordo dove ero seduta; ricordo di aver pensato che la sala era immeritatamente vuota, che quel palco faceva impressione con tutte quelle chitarre; ricordo che tornando a casa ero entusiasta, allucinata, felice; ricordo che ci fermammo in un bar per una birra e incontrammo un mio ex compagno di classe delle superiori, uno che al tempo faceva il bullo con me e io lo temevo molto, e che quella era strafatto in modo brutto, che mi abbraccio', che mi chiese scusa, che mi racconto' la sua vita, che mi fece una pena infinita; ricordo che quel concerto fu musicalmente uno spartiacque, almeno per me.
Questo e' cio' che ne scrissi il giorno dopo:
se la fine del mondo ha un suono, questo è il suono della fine del mondo.
questo pensiero ha attraversato la mia testa sistematicamente per tutta la durata del concerto mentre a tratti avevo quasi l'impressione che ci fossero dei pianoforti alla Schoenberg, dei violini, un organo... ma no, solo chitarre... tante che tutte insieme così non si erano viste mai... e tu chiudevi gli occhi e sentivi di tutto: c'era il terremoto, un treno che entrava in una galleria, un aereo in volo, clacson impazziti in mezzo a vetri in frantumi e case in fiamme...
Buffo rileggersi a tanta distanza.
Ancora piu' buffo scoprire che un paio d'anni fa, dopo piu' di otto anni, e' stato rilasciato un cd con la registrazione di quella serata: potevo forse esimermi dall'acquisto?
E cosi' mi ritrovo a scrivere di nuovo.
Perche' poche cose stordiscono come un album di Glenn Branca.
Quattro brani, quattro movimenti, quattro bombe soniche che ti scartavetrano le orecchie.
Ottanta chitarre elettriche distorte e stonate, venti bassi, e quella batteria da sola che tiene il tutto con il suo ritmo macabro. Ottanta chitarre elettriche che non lasciano respiro.
E' l'alienazione di una Gotham City senza supereroe, scura, sovrastata da nubi opprimenti, dove la salvezza non e' neanche piu' un ricordo.
Ovviamente l'esperienza dal vivo aveva una forza di allucinazione collettiva che su disco si perde un minimo (ma giusto un minimo) e verosimilmente il mio ascolto, coaudiuvato dalla memoria, e' diverso da quello di qualcuno che quella sera non ha potuto esserci.
Ma ecco, se volete (ma voi chi?) dargli una chance sedetevi in poltrona, infilate il disco in uno stereo, alzate il volume al massimo e chiudete gli occhi: la fine del mondo non sara' mai stata cosi' emozionante.
Lista delle tracce
March
Chant
Drive
Vengeance
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