giovedì 27 febbraio 2014
Good bye Paco
(Certo che e' proprio un periodaccio...)
martedì 25 febbraio 2014
sabato 15 febbraio 2014
1964-1985: Affinità-divergenze fra il compagno Togliatti e noi. Del conseguimento della maggiore età [CCCP - Fedeli alla linea]
Apro oggi la rubrica "letture a distanza": album sentiti, risentiti, ascoltati, mandati giu', rigurgitati, reintrodotti via endovenosa in vari momenti di vita. E penso sia doveroso cominciare da qui.
Sfondo di un verde imbarazzante, l'immagine di Togliatti in alto, al centro, con le due date a fargli da cornice; appena sotto cinque ragazzi con una ridicola aria punk-rivoluzionaria.
Uno dei dischi piu' importanti del moderno rock italiano si presenta come uno scherzo, qualcosa che non sembra voler essere preso troppo sul serio. Come sara' mai venuto in mente agli ascoltatori dell'epoca di dargli una chance?
Play.
Parte il basso, un giro ipnotico con un sottofondo di improbabili rumori, poi l'esplosione, il grido di battaglia, la presentazione: "CI-CI-CI-PI!" (uh?, non si leggeva "esse-esse-esse-erre"?, ma chi sono 'sti scemi?: immagino che all'epoca se lo sia domandato chiunque).
Se al primo ascolto si direbbe un album politicizzato, gia' al secondo si capisce che c'e' una profonda ironia che fa ridere di tutto pur prendendo tutto terribilmente sul serio: loro stessi definiranno la loro musica come "musica melodica emiliana e punk filo-sovietico".
I brani sono inni di un'epoca, tutti, nessuno escluso: lo xilofono da carillon per bambini che suona assurdamente bene sotto le chitarre distorte, l'inizio da osteria che riesplode, il tempo in accelerazione, lo stacco nazional-popolare, il gran finale perverso, solo per citare alcune delle meraviglie sonore che bisognerebbe aver sentito almeno una volta nella vita.
Ferretti, con la sua educazione campagnola e i suoi trascorsi da operatore psichiatrico, con quel cantato straniante e inconfondibile (oh, che meraviglia di voce quando maturera' nei CSI!) si fa portavoce di una generazione che a conti fatti non mi appartiene, eppure e' parte del substrato culturale che sopravvive sotto la pelle: energia punk, allucinazione graffiante, potenza, violenza, (s)b(r)uffoneria, sarcasmo e ironia neanche troppo velati ("fedeli alla linea, la linea non c'e'"), odio/amore per le proprie radici, desiderio di autoaffermazione.
Il (post)punk degli anni ottanta ("qualcuno e' pre, qualcuno e' post, senza essere mai stato niente" dira' lo stesso Giolindo un paio di album piu' avanti) che ti esplode in testa, la voce assurda di Ferretti che martella quasi piu' della potente ritmica di Negri, la chitarra di Zamboni che non lascia scampo: tutto grida, tutto esplode.
Nella ri-lettura, con il pensiero che inevitabilmente va ai lavori successivi, viene da pensare che qui si stia distruggendo (imprescindibili Einstürzende Neubauten) con l'intento di ricostruire dalle macerie.
Sfondo di un verde imbarazzante, l'immagine di Togliatti in alto, al centro, con le due date a fargli da cornice; appena sotto cinque ragazzi con una ridicola aria punk-rivoluzionaria.
Uno dei dischi piu' importanti del moderno rock italiano si presenta come uno scherzo, qualcosa che non sembra voler essere preso troppo sul serio. Come sara' mai venuto in mente agli ascoltatori dell'epoca di dargli una chance?
Play.
Parte il basso, un giro ipnotico con un sottofondo di improbabili rumori, poi l'esplosione, il grido di battaglia, la presentazione: "CI-CI-CI-PI!" (uh?, non si leggeva "esse-esse-esse-erre"?, ma chi sono 'sti scemi?: immagino che all'epoca se lo sia domandato chiunque).
Se al primo ascolto si direbbe un album politicizzato, gia' al secondo si capisce che c'e' una profonda ironia che fa ridere di tutto pur prendendo tutto terribilmente sul serio: loro stessi definiranno la loro musica come "musica melodica emiliana e punk filo-sovietico".
I brani sono inni di un'epoca, tutti, nessuno escluso: lo xilofono da carillon per bambini che suona assurdamente bene sotto le chitarre distorte, l'inizio da osteria che riesplode, il tempo in accelerazione, lo stacco nazional-popolare, il gran finale perverso, solo per citare alcune delle meraviglie sonore che bisognerebbe aver sentito almeno una volta nella vita.
Ferretti, con la sua educazione campagnola e i suoi trascorsi da operatore psichiatrico, con quel cantato straniante e inconfondibile (oh, che meraviglia di voce quando maturera' nei CSI!) si fa portavoce di una generazione che a conti fatti non mi appartiene, eppure e' parte del substrato culturale che sopravvive sotto la pelle: energia punk, allucinazione graffiante, potenza, violenza, (s)b(r)uffoneria, sarcasmo e ironia neanche troppo velati ("fedeli alla linea, la linea non c'e'"), odio/amore per le proprie radici, desiderio di autoaffermazione.
Il (post)punk degli anni ottanta ("qualcuno e' pre, qualcuno e' post, senza essere mai stato niente" dira' lo stesso Giolindo un paio di album piu' avanti) che ti esplode in testa, la voce assurda di Ferretti che martella quasi piu' della potente ritmica di Negri, la chitarra di Zamboni che non lascia scampo: tutto grida, tutto esplode.
Nella ri-lettura, con il pensiero che inevitabilmente va ai lavori successivi, viene da pensare che qui si stia distruggendo (imprescindibili Einstürzende Neubauten) con l'intento di ricostruire dalle macerie.
Lista delle tracce:
CCCP
Curami
Mi ami? (remiscelata)
Trafitto
Valium Tavor Serenase
Morire
Curami
Mi ami? (remiscelata)
Trafitto
Valium Tavor Serenase
Morire
Noia
Io sto bene
Allarme
Emilia paranoica (remiscelata)
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