sabato 13 febbraio 2016

David Bowie - ★ [2016]

Fondo bianco, una stella a cinque punte nera riempie il centro della copertina; subito sotto, piu' piccoli, quattro pezzi di altrettante stelline nere, tranne una, la seconda da sinistra, che a colpo d'occhio pare un pezzo come le altre ma non e' cosi': quella e' rimasta integra.

Play.

Fiumi sono gia' stati scritti in questi giorni, parole sull'uomo, sulla sua vita, sulle sue opere: relativamente poche su quest'opera, non s'e' fatto davvero in tempo ma del resto e' difficile scrivere di quest'album facendo finta che sia uno come gli altri.
A dirla tutta c'e' un prima e un dopo dell'undici gennaio: le grandi riviste ovviamente sono arrivate prima e alcune, lette oggi, colpiscono violentemente.

This tortured immortality is no gimmick: Bowie will live on long after the man has died. For now, though, he’s making the most of his latest reawakening, adding to the myth while the myth is his to hold. (Pitchfork, 7 gennaio)

Beneath the swooning cinematic rush of Dollar Days beats a gorgeous, bittersweet piano ballad on which Bowie proclaims himself “dying to... fool them all again and again” but the phrase breaks apart until he sounds like he might be singing “I’m dying too.” [...] What can it all mean? The man himself gives no interviews and apparently remains firm in his insistence that he will not tour again. Looking for clues in his music, we are confronted with inscrutability.  (Telegraph, 8 gennaio)


Dopo l'undici gennaio tutto cambia, si scrivono solo banalita'.
E' il mio turno di incrementarne il numero: chiedo scusa, ma la verita' e' che quest'album piu' lo ascolto e piu' mi piace!

In rete se ne parlava da mesi, voci piu' o meno di corridoio si rincorrevano nell'attesa: ogni tanto una notizia, a volte un video che non osavo guardare per non rovinarmi il gusto della scoperta; poi l'uscita, ben congegnata in modo da coincidere col sessantanovesimo compleanno del Duca, e in un battito di ciglia parte l'ordine su Amazon, con tanto di acquolina in bocca e la flebile speranza di un passaggio in citta' (anzi, in Citta').
Neanche tre giorni e, ben prima che l'album venga depositato nella mia buchetta delle lettere, arriva la notizia: il Duca e' morto: un tumore se l'e' mangiato.

E allora ogni religioso attendere e' vanificato: si cerca l'ultimo video, le ultime parole, l'ultimo messaggio, si cerca di capire, forse per accettare, forse per sospendere la realta' e fingere che non sia vero, per rintanarsi in quei sogni glam-patinati di cui lui era stato l'inventore. Ma non c'e' sospensione, solo parole nude: guardiamo lassu', il Duca e' in paradiso e vola libero come una sialia. Lui ha voluto (e potuto) uscire di scena con una frase di congedo finale da tutto quanto e' li' li' per finire: nessun altro avrebbe saputo fare meglio di cosi', e se uno ci pensa capisce subito che non poteva andare diversamente.

★, dunque: che lo si ascolti ripetutamente, che se ne scriva, ma soprattutto che lo si ascolti.

Col senno di cui son piene le fosse si osserva subito il nero funereo che pervade tutto il libretto: nere le pagine, nere le parole stampate, i testi e i crediti, leggere e capire richiede sforzo, attenzione, pazienza.

Poi la musica.
Anzi, prima di tutto la Musica.
Perche' il fatto e' che ★ e' un album di una bellezza disarmante.

Chissa' cosa avrei pensato se avessi potuto ascoltarlo prima del dieci gennaio, chissa' cosa avrei capito... ma infondo e' stato lui a volere cosi': se la vita e' parte imprescindibile dell'arte, se l'arte si fonde nella vita, allora deve fare altrettanto con la morte.

★ e' un album elettro-prog di ritmi zoppi e voci tremanti in cui sassofoni cristallini e graffianti indirizzano lo sguardo verso spazi sconfinati dalle tinte fosche (Grazia, Graziella...). E' un commiato, una faccenda maledettamente privata che si fa pubblica e viceversa. E' il fondersi dell'eleganza musicale esasperata e di una nudita' verbale cruda al limite del sublime. E' una danza che ti entra dentro e ti resta avvinghiata addosso, un sussulto di vita, l'alito della morte che avanza.

Ad ogni ascolto noti un dettaglio, una sfumatura.
Dalla suite progressiva della traccia-titolo all'assolo del gran finale (e no, ha troppe variazioni armoniche perche' io possa definirlo completamente liberatorio), siamo cullati in un mondo sospeso tra jazz instabile, ballate al limite del post-punk, rock dagli echi metallici, deviazioni verso l'hip-hop (sic!) e aperture psichedeliche torcibudella. E il tutto, che ci si creda o no, e' organizzato in modo splendidamente omogeneo e compatto: del resto questo non e' certamente un album di canzoni buttate li' a caso.

Perche' insomma, diciamocelo: se sei David Bowie e sai di dover morire tra un anno o poco piu', che altro puoi fare se non lasciare il tuo ultimo messaggio in un album meraviglioso e poi chiudere gli occhi per sempre?


Lista delle tracce:


'Tis a pity she was a whore
Lazarus
Sue (or in a season of crime)
Girl loves me
Dollar days
I can't give everything away

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