martedì 14 luglio 2015

Amaury Cambuzat - Plays Ulan Bator [2014]

Sfondo nero, una specie di stanza onirica: sulle pareti la carta da parati rosso-bordeaux dai toni floreali si straccia qua e la' lasciando intravedere dei disegni che forse vogliono esser quadri; dal pavimento (legnoso in alcune parti e perfettamente riflettente in altre) emergono due scheletri di albero; al centro della stanza una poltrona in pelle verde su cui siede rigidamente Cambuzat; un razzo, una lampadina accesa e un cactus sono disegnati con inchiostro bianco a sinistra, in alto e a destra rispettivamente. Il nome dell'autore e' in alto, il titolo dell'album in basso, entrambi scritti come con un pennello sghembo intriso di vernice bianca.

Play.

Fa sempre uno strano effetto sentire un ri-arrangiamento di brani precedentemente ascoltati e amati; a prescindere dalla validita' del ri-arrangiamento al primo colpo disorienta, al secondo forse un po' infastidisce, al terzo stimola e solo al quarto si comincia a farsene un'idea per quello che e': sono tutte fasi assolutamente inevitabili, e' fisiologico e anche bello sia cosi'.
Cosa succede dunque se Cambuzat, il capitano di quella che lui stesso ha chiamato "generazione elettrica", suona in acustico dei brani che nascono pensati con l'overdrive?, o almeno, come lo percepisce il mio orecchio abituato a certe sonorita' da quando avevo quindici anni?

Quando ascolto gli Ulan Bator la prima sensazione che mi viene e quella di un gradevole senso di nausea auditiva, uno stordimento sconquassato dei sensi, un'ubriacatura di quelle pesanti che ti danno completamente alla testa e non ti fanno camminare dritto, un viaggio allucinato e violento.
Per rendere l'idea: non mai ho conosciuto un solo animale che potesse gradevolmente rimanere nella stanza dove il mio stereo suonava un loro album.

La versione acustica manca di tutto questo: la nausea e la violenza sono notevolmente attenuate quando non del tutto svanite, si entra piuttosto in un ambiente onirico ammantato di psichedelia e forse un filo di malinconia: da Burgess a Baudelaire o Dali' se mi sono concessi gli accostamenti estremi, tant'e' che Ofelia rimane accanto a me quando lo ascolto dallo stereo... d'accordo, ogni tanto muove leggermente un orecchio con disapprovazione (vaglielo a spiegare che una dissonanza puo' nascondere mondi di bellezza) ma basta una carezza per tranquillizzarla.

La chitarra acustica ha questo potere incredibile di addolcire anche quelle che nel mio immaginario sono le espressioni per antonomasia della violenza ubriaca, snaturandone completamente l'essenza per donar loro una certa delicatezza sognante, rendendole a tratti irriconoscibili, tanto che qua e la' mi pare di ascoltare brani che non avevo mai sentito prima, mentre in realta' solo "Along the borderline" e' nuova alle mie orecchie: questo ovviamente e' decisamente un valore aggiunto.
E altrettanto ovviamente la voce di Cambuzat qui viene usata molto piu' che altrove (immagino che i brani non siano stati scelti a caso) e si adatta volentieri al ri-arrangiamento: il cielo basso e greve, pesante come un coperchio, a volte addirittura si solleva lasciando intravedere un tramonto rarefatto.

Tirando le somme?, beh non credo sia semplicemente una chicca da fan-collezionisti, ma che anzi sia da considerarsi a tutti gli effetti un nuovo ottimo lavoro di gradevole ascolto.

Devo ammettere che il mio recente ingresso nelle cosiddette reti-sociali ha i suoi indiscutibili lati positivi, su tutti quello di essere costantemente aggiornata (in tempo quasi-reale) su certa musica di mio interesse, cosa che in effetti non avevo mai preso in considerazione e che invece adesso mi sta regalando delle occasioni splendide: vedere il mio nome tra i "produttori esecutivi" di questa perlina acustica ne e' ulteriore riprova, nonostante il tempo incredibilmente lungo che ha richiesto dover attendere il pacco dall'Europa.


Lista delle tracce:

La Joueuse de Tambour
Mister Perfect
Lumière Blanche
Pensées Massacre
Hiver
Terrorisme Erotique
Embarquement
Along the borderline
Soeur Violence
Torture

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