giovedì 27 novembre 2014

Damon Albarn - Everyday robots [2014]

Sfondo grigio, Albarn in bianco e nero e' seduto su uno sgabello, spalle incurvate, testa bassa, aria pensosa e malinconica, un uomo solo, arreso. Il suo nome in alto e' scritto in lettere minuscole con il carattere di chi a mano prova a scrivere come a macchina; il titolo dell'album, appena sotto, e' in stampatello: il tutto e' grigio su grigio, in varie declinazioni piu' o meno sfumate.

Play.

Gli ci sono voluti vent'anni per smetterla di nascondersi dietro un marchio, un'immagine, un cartone animato, le band che sono state sua emanazione nelle varie fasi della sua crescita come uomo e come artista. A quarantasei anni ha finalmente accettato di essere se' stesso ed e' cosi' che si espone: nudo, pacato, inerme eppure in un qualche modo fiero.
Non e' un percorso facile, non ci si inventa se' stessi in un minuto, ma infondo e' un percorso liberatorio, ed e' questo percorso che si legge fra le pieghe armoniche della sua ultima produzione, un album intenso e maturo.

Le musiche sono minimali ed estremamente raffinate, da perdercisi dentro, farsele entrare sotto la pelle, ideali per camminare nel freddo di una giornata autunnale (o quello che qui chiamano "warm" prendendomi in giro, ma vabbeh). Hanno un che di ossessivo e ipnotico, eppure avvolgente: del resto l'elettronica, se fatta a modino, puo' essere calda e intensa come e piu' di un blues.

Alienazione, incomunicabilita', tecnologia che si impadronisce delle nostre esistenze e le raffredda, droga metaforica o reale (e perche' no?, in questo contesto e' assolutamente impensabile quando non ridicolo continuare a fare i borghesucci) che impedisce di realizzarsi appieno come individui.
Ed e' forse questo il nodo focale, il fil rouge che lega le dodici perline di cui e' costituito l'album: l'idea che certe imposizioni esterne del mondo e del suo rincorrersi possano privarci della nostra umanita' e svuotarci dei nostri desideri piu' profondi che rischiamo di non saper piu' riconoscere.

Con la collaborazione dell'amico Brian Eno (pare si siano conosciuti in palestra, il che se uno ci pensa fa uno strano effetto) chiude il disco una nota di speranza e benessere: il percorso e' stato fatto, e' stato doloroso ma ne siamo usciti vivi, fortificati, e adesso il Nostro guarda avanti con un sorriso sicuro e consapevole.

Per il momento lo metto sul podio della mia classifica personale per questo 2014, forse a pari merito con Gin (cambio idea ogni dieci minuti quindi diciamo che per ora sono a pari merito) ma sicuramente dietro Earth Hotel.


Lista delle tracce:

Everyday robots
Hostiles
Lonely press play
Mr. Tembo
Parakeet
The selfish giant
You & me
Hollow ponds
Seven high
Photographs (you are taking now)
The history of a cheating heart
Heavy seas of love

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