giovedì 16 ottobre 2014

Placebo @ Sound Academy -Toronto

15 ottobre 2014

Ebbene si', mi piacciono i Placebo, mi piace il loro sound, i bassi ingombranti, la batteria possente, la vocetta sgraziata di Molko che non c'entra niente e rende tutto perfetto: ciascuno ha il suo gruppo di plastica prediletto, i Placebo sono il mio.

Arrivo al locale poco prima dell'apertura dei cancelli; conoscendo i ritmi di queste parti ho paura di essere in ritardo e invece no, sono in largo anticipo: evidentemente i Placebo hanno tirato per suonare ad un orario piu' consono per i loro standard europei, cosa che mi mettera' un po' in difficolta' per il ritorno. Vabbeh.
All'ingresso un cartello, un foglio A4 stampato alla bell'e meglio in cui si chiede di non fotografare ne' registrare l'evento per non disturbare i musicisti e il resto del pubblico "vivete l'emozione del momento, tanto non potrete ricrearla da una foto fatta col cellulare. Placebo". Qualcosa del genere. Punto di vista comprensibile, ma sappiamo tutti che sara' disatteso: peccato. Entro e agguanto un posto credo in sesta fila o qualcosa del genere, verso il lato sinistro del palco: la posizione sembra buona (a poca distanza da me c'e' il set di chitarre di Molko, si vedono le palette di quattro Fender e cinque Gibson) e mi preparo a godermi la serata.

Sono nell'eta' media, forse appena al di sopra, ci sono molti piu' ragazzini di quelli che mi aspettavo visto che stiamo parlando di un gruppo che usa chiaramente un linguaggio legato agli anni della mia adolescenza e ha tutt'ora il suono che avevano quegli anni li'.

Il gruppo spalla, The moth & the flame, ci mette una vita a salire e la situazione mi piace sempre meno: il fumo sul palco, la calca, l'aria pesante mi danno alla testa.
Inizio a pentirmi di essere venuta: chi me l'ha fatto fare?, sono stanca, ho lavorato tutto il giorno, rischio di perdere l'ultimo autobus, mi gira la testa, vorrei sedermi, mi sento un'estranea in mezzo a tutta questa folla che chiacchiera in una lingua che non e' la mia: per capire cosa dicono mi dovrei forzare e non ho voglia di farlo, e' un suono indistinto che non fa che aumentare il senso di nausea sartriana che mi sta assalendo...
Poi arrivano i The moth & the flame, sono dei ragazzini: iniziano a suonare e... beh, almeno sono gradevoli. Non dicono niente di particolarmente nuovo, ma lo dicono abbastanza bene: mancano di bassista (grave assenza per le mie orecchie) ma il tastierista sopperisce in maniera piu' che accettabile e il cantante ha una voce davvero notevole. Suonano forse una mezz'ora, salutano e se ne vanno. La voglia di andar via non mi e' passata ma la nausea e' leggermente diminuita: resisto.

Una coppia di ragazzini punk, cresta verde, calze a rete alle braccia, piercing in ogni dove, ingente quantita' di massa grassa nordamericana nonche' decisamente alti (arrivo alla spalla di uno dei due, la ragazza per essere precisi) arriva, mi da una spallata e si piazza tra me e il palco: questo mi irrita davvero. Mi giro verso il ragazzo accanto a me "Tu riesci a vedere?" chiedo. "Per niente" dice lui e prova a dire ai due giganti che sono stati piuttosto scortesi (l'aplomb di questa gente mi fa morire) e l'enorme punk, senza dire una parola, senza neanche voltarsi completamente, mostra placido il dito medio e torna a rivolgersi alla ragazza. Che personcine per bene... Decido di spostarmi piu' indietro: gia' che sono qui (con l'irritazione che sale) vorrei vedere qualcosa.
Mentre i roadies sistemano il palco mi rendo conto di quanto Molko debba essere basso, si capisce dal microfono, fa impressione.

Poi la musica di sottofondo tace e parte una versione remix di "Pure morning": anche cosi', semplicemente per una registrazione, il pubblico scalpita e urla.
Entrano i turnisti, poi Olsdal, poi Forrest, poi Molko: delirio.
E' invecchiato, accidenti se e' invecchiato, pieno di cerone per sembrare piu' effeminato come era da piccolo, ma adesso e' un uomo e la cosa mi fa sorridere: e pero' anche a me l'effetto placebo dell'ingresso in scena basta a far passare parecchia della presa male che avevo.
Attaccano con "B3", inizio un po' in sordina in un certo senso, poi "For what it's worth" e gia' si comincia a ballare. Molko ringrazia, saluta, "Siamo qui da Londra, a far rumore, rumorosi come l'amore" e via, "Loud like love": sto iniziando a divertirmi.
Quasi senza soluzione di continuita' attaccano "Every you and every me" e tutti cominciano a cantare e saltare, nessuno escluso, nemmeno io: l'inibizione e' definitivamente rotta, non mi sento piu' lontana ed estranea, sto condividendo qualcosa con tutte queste persone, sono miei amici, miei fratelli. L'impatto sonoro che hanno i Placebo e' imponente: dal vivo, come spesso accade, lo e' all'ennesima potenza.
"Il prossimo brano richiede che voi battiate le mani" dice Molko "ma innanzitutto avrei bisogno di vedere che avete in effetti delle mani e non solo dei porta-telefonini" continua con sarcasmo (ovviamente un sacco di gente sta facendo video e foto col telefonino in barba al foglio A4 che c'era all'ingresso). La gente alza le mani, i telefonini sono scomparsi, Molko sorride, Olsdal batte le mani per dare il tempo, "Scene of the crime", ehnno', mica si battono facilmente le mani su sto pezzo... mi impegno ma mi confondo, non importa, ci stiamo tutti divertendo. Poi "A million little pieces" per rilassarsi un attimo. "Adesso siamo al punto in cui vi chiedo di aiutarimi a convincere il signor Steve qui a darci un po' di funk potente" dice indicando il giovane Forrest alle sue spalle: parte l'urlo della folla, Forrest sorride, mostra i tatuaggi e attacca a suonare, e' una versione potenziata di "Twenty years": accidenti se e' bravo il signor Steve penso io. "Il prossimo brano e' una storia vera ma per rispetto della privacy i nomi e i cognomi sono camuffati... ma vedo che molti sono qui..." urlo gioioso della folla, parte "Too many friends" e sorrido all'inglesissima ironia di Molko: prende in giro i suoi fan dal palcoscenico e quelli se la godono... ma qui io ora godo un po' meno, anzi godo moltissimo ma in modo diverso, perche' per la prima volta sento mio questo testo: sara' che prima di venire qui non ero entrata in contatto con faccialibro, che mi sono iscritta solo una volta giunta dall'altra parte del mondo con l'idea di mantenere un seppur debole legame con i miei amici, e capisco (ah!) come pero' ormai non sia piu' possibile che io sia li' per loro. C'e' chi si e' sposato, chi progetta di fare un figlio, chi si mette a dieta, chi va a Eurodisney con la fidanzata, chi compra casa... io li osservo da lontano ma non ci sono, non potro' abbracciarli quando ne avranno bisogno... Piango; ultimamente piango spesso per cose come questa... "What's the difference anyway/when the people do all day/is staring to a phone" cantano tutti con il loro telefonini puntati verso Molko: si puo' essere piu' idioti?, torno a sorridere.
Occhei, cambio brano, cambio emozione, "Rob the bank", urlo della folla quando si parla di rapinare la banca del Canada, sorrido: "of the entire eurozone" mi vede molto piu' coinvolta ovviamente...
"Negli ultimi due album cercavo di scrivere una canzone sulla religiosita' del sesso" anticipa Molko un attimo prima di attaccare "Purify": ogni canzone e' un cambio di chitarra ma non riesco a vedere le mani per capire se e' una questione di accordatura o "semplicemente" di suono. Stacco rapido, "One of a kind" e inizio a saltare come non mai, ormai mi sento in preda a una specie di delirio da concerto adolescenziale, canto a squarciagola e me ne frego di tutto il resto. Poi "Exit wounds" che un tempo mi faceva un grande effetto mentre adesso la sento lontana, un ricordo del passato e anzi, forse realizzo qualcosa che non avevo afferrato del tutto, ma ancora non e' il caso di sbilanciarsi.
Un morbido giro di chitarra, suonato con le dita, sconosciuto, e Molko canta "I was alone/falling free/trying my best not to forget..." urlo anch'io come tutti, splendida modifica dell'intro di "Meds" che ci sta benissimo a questo punto. Da qui in avanti gran finale in cui vengono sparate come con un mitragliatore "Song to say goodbye" (peccato, potevano usarla per salutare), "Special K" e "The bitter end": il pubblico salta, scatta addirittura il pogo a pochi centimetri da me, lo evito di un soffio (ho paura di non reggere anche se mi piacerebbe) e anzi, il movimento mi permette di trovare una posizione migliore. Ballo anch'io, piu' composta ma ballo, canto, salto, batto le mani: l'energia emanata dalla band e' incredibile.

Pausa, un respiro.
Ormai me ne frego dell'ultimo autobus, vorra' dire che paghero' un taxi e la prossima volta ci staro' piu' attenta: la serata, il divertimento, l'emozione valgono assolutamente la spesa. 

Rientrano con "Begin the end", giusto modo di iniziare il bis del concerto in effetti: anche questa mi fa andare indietro con la memoria ma qui non mi stupisco, il sentimento e' cristallino ed sempre lo stesso da quando ho ascoltato questo brano per la prima volta. Poi "Running up that hill (a deal with God)" in una versione piu' potente di quella registrata: si balla e si continua a ballare con "Post blue" e "Infra-red" per il gran finale: coda noise, Molko e Olsdal chini sulle pedaliere a far vibrare e fischiare... silenzio, urlo della folla.

La band avanza sul palco a salutare, ringraziare "Thank you!" scandiscono col labiale, "Thank you!" scandisco io quando ho la sensazione che stiano guardando dalla mia parte: Forrest lancia le bacchette, si avvicinano, stringono le mani a quelli che possono raggiungere dal palco, sorridono, se ne vanno.

Davvero bello; in piena sbornia da concerto esco, prendo un taxi e me ne torno a Hamilton chiacchierando col tassista danese: la gente di qui e' meravigliosa, anche gli immigrati.

4 commenti:

  1. Sarà per l'atteggiamento di Molko o per il mio retaggio metal, ma i Placebo non li ho mai retti, anche se han fatto quei quattro pezzi che piacciono anche a me. Chissà tra l'altro qual'è il mio "gruppo di plastica"...
    Comunque secondo me quei due simpaticoni che hai incontrato non erano punk: erano solo degli stronzi disadattati che sfruttano una divisa per contestualizzare la loro bestialità e per certi versi farsela scusare. Probabilmente se non avesse avuto la cresta e quell'atteggiamento di merda che spesso persone come lui si portan dietro, all'alzata del dito medio sarebbe scattata la rissa.
    Dai che al prossimo concerto non sarai sola! ;)

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  2. prima o poi il tuo gruppo di plastica verra' fuori: fa bene alla salute averne uno! :D

    i "punk"... si' d'accordo, scrivo "punk" per identificarli visivamente, ma i punk-veri di solito sono persone per bene e ormai non si vestono neanche piu' da punk: sono passati appena 40 anni infondo!
    pero' no, qui niente rissa, figurati, siamo in Canada, la gente da queste parti di solito sorride anche se gli tagli la strada...

    il "prossimo" concerto non lo so: di sicuro non saro' sola a un concerto a dicembre... ;)

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    1. Sicuramente quel gruppo ce l'ho, ed è probabile che sia nel mio armadio degli scheletri metal. Poi magari mi dici quali devono essere le sue caratteristiche per esser considerato di plastica.
      Comunque è così, Dottoressa, che si prepara ai suoi obblighi accademici, eh, andando ai concerti!...
      ...ma quanto manca a dicembre?..

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    2. Chiamo "musica di plastica" quella di facile ascolto, immediata, non particolarmente profonda sotto nessun punto di vista e a tratti modaiola: non sconquassa, non stuzzica l'intelletto, non evolve mai, si limita ad ammiccare al lato dozzinale di noi con l'aria di una mignotta d'alto bordo. Insomma, piu' o meno il rapporto che ha un hamburger col cibo: lo sai che e' cibo-spazzatura e non si puo' paragonare neanche a una pizza, figuriamoci a una chianina, pero' non puoi fare a meno di divorarlo con gusto, ancora e ancora.

      Comunque si', si va ai concerti la sera e si fa lezione la mattina dopo praticamente senza voce, tanto sono dotata di microfono! :D

      A dicembre manca quel tanto che basta per far crescere l'attesa: per ora rosico perche' ci saranno i Blonde Redhead a Toronto esattamente la sera in cui prendero' il volo per l'Italia porc... (e comunque... daje MK!)

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