venerdì 23 febbraio 2024

Paolo Bevengnu' @ Monk Club - Roma

 22 Febbraio 2024


Ci sono storie belle da raccontare, ci sono quelle che fanno ridere, quelle che ti prendono e ti scuotono, quelle che, infondo, sono solo storie normali ma ti lasciano dentro un sorriso di benessere.

Questa volta siamo in due, ultimamente siamo sempre noi due: quello che era il "team" dello scorso anno si e' sgretolato ma noi, imperterriti, ancora resistiamo.

Arriviamo al Monk in largo anticipo, abbiamo prenotato un tavolo per mangiare presto al ristorante del club: il nostro piano e' di nutrirci in fretta per poi volare nella sala-teatro e prendere posto in prima fila, gomiti sulle transenne. Arriviamo dunque, e il nostro tavolo e' proprio accanto a quello della banda. Io, che nella vita vera cerco di nascondere la mia timidezza cronica con una spavalderia ridicola, ho il cuore che inizia a pompare come quello di un'adolescente scema (quarant'anni buttati!). E sento l'emozione nella mia voce quando mi accorgo che Benvegnu' mi sta facendo un cenno di saluto: ricambio timidamente con una mano, anche se a dirla tutta non sono sicurissima stia salutando me, perche' sarebbe assurdo si ricordasse, a distanza di tanti anni, il viso di qualcuno che a malapena e' stato in grado di balbettare qualche frase sconnessa in sua presenza. Poi, come quella volta a Prato e' il primo ad alzarsi da tavola. Dopo un po' anche Roccia mi vede e mi fa un cenno, ma questa volta lo so che e' per me, perche' con lui ho interagito in piu' di un'occasione, e ricambio con un sorriso piu' ampio e meno imbarazzato: a fine pasto si avvicinera' al nostro tavolo - noi stiamo ancora finendo - per un saluto piu' caloroso e per dirmi che in effetti ha letto quello che ho scritto. E niente, come sempre la cosa mi scuote e mi lusinga. Poco dopo arriva il caffe', lo beviamo in fretta e ci alziamo - lasciando una bottiglia di vino da finire, cosa decisamente non da noi - per andare ad accaparrarci il posto in prima fila. Entrando nella sala-teatro il mio compagno di avventure mi prende vigorosamente in giro, perche' in prima fila a questo punto ci saranno si' e no cinque persone, e a dirla tutta avremmo avuto il tempo per finire il vino con calma. Ma mi vuole bene, mi sopporta, e penso che alla fine gli faccia piacere farmi contenta.


Siamo in prima fila dunque, gomiti sulle transenne, piu' o meno a meta' strada tra il basso di Roccia e la chitarra di Benvegnu' che riposano sul palco, mentre la sala si riempie lentamente. Il mio sguardo cade sulla scaletta ai piedi del basso e la indico al mio compagno di avventure, dicendo che a fine concerto bisognera' cercare di prenderla: lui non batte ciglio, attraversa le transenne, sale sul palco e scatta una foto. Gli intimo di non azzardarsi a darmi anticipazioni ma lo vedo che freme per poter discutere con me quello che ha visto, cosi' gli lascio dire - con gli occhi che brillano - che i primi brani saranno quelli del nuovo lavoro, in fila. E aggiunge, ricollegandosi a un dialogo che avevamo avuto in macchina, di non volermi dire quale sara' l'ultimo brano.

Finche' ecco, si abbassano impercettibilmente le luci, il volume della musica si alza e riconosco le note del finale strumentale di "Alla disobbedienza". Faccio cenno al mio amico che si sta per cominciare.


Salgono sul palco e il mio cuore e' gia' partito. Iniziano con "Tecnica e simbolica", e sorrido quando Roccia sottolinea con forza che la primavera tarda ad arrivare. Segue "L'oceano", che senza Brunori perde qualcosa ma guadagna qualcos'altro. Mi accorgo che, uno per uno, riesco a seguire tutti gli strumenti, piccole gemme musicali che compaiono una alla volta per farsi notare. E' il turno di "Marlene Dietrich" e penso sia un peccato abbiano saltato "Pescatori di perle", di cui sto provando a capire la delicata intro al pianoforte, ma vabbeh: del resto anche quella volta incredibile a Grottammare mica avevano veramente suonato tutto l'album. E va detto che "Marlene Dietrich" dal vivo ha un impatto bestiale sulle mie orecchie. Segue, come da copione, "Il nostro amore indifferente", che poi e' la canzone con cui di recente arrivo in dipartimento, quella che colleghi e studenti, ridendo sotto i baffi, mi hanno visto ballare mentre cammino e attraverso la sbarra del parcheggio: ridano pure!, non sanno che meraviglia ci sta dentro a quel cuffione. Finche' arriva "27/12". Doveva arrivare e arriva. Ed e' bellissimo essere li' con il mio compagno di avventure, entrambi coi gomiti sulle transenne, pensando a tutto senza pensare a niente, con un sorriso enorme e gli occhi e le orecchie pieni di meraviglia e dolcezza. Segue "Our love song" e si balla. In realta' ho il ginocchio destro che mi fa malissimo: la scorsa estate mi sono presa un'orribile storta camminando per strada, credo che l'album su cui ballavo fosse Karma Clima, che avrei visto dal vivo - zoppicante - di li' a breve. Insomma, quel giorno ho quasi rotto il menisco e dato una scrollata importante al crociato anteriore gia' abbondantemente provato. Dunque ho passato l'estate con le stampelle e, a seguito una riabilitazione un po' troppo frettolosa, in cui "forse" ho "leggermente" forzato la mano, ora, di tanto in tanto, specie quando cambia il tempo, anche solo camminare in realta' non e' il massimo. Ma stasera si balla, anche a costo di farlo mantenendo tutto il peso sulla gamba sinistra, tenendo il collo del piede destro appoggiato leggermente sul retro della caviglia sinistra, tanto ci sono le transenne a darmi una mano per non cadere. E se mai dovessi rompere il maledetto crociato una volta per tutte... pace. Si balla dunque, e ne vale la pena. Poi, con mia grande e piacevolissima sorpresa, parte "Pescatori di perle" e i miei occhi si piantano sulle mani di Aprile: non vedo benissimo ma credo di aver capito qualcosa, poi al resto pensera' il mio orecchio nei prossimi giorni. Segue "Canzoni brutte" e il mio compagno di avventure ed io ci scambiamo un sorriso e uno sguardo d'intesa: solo pochi giorni fa ci dicevamo quanto questo brano piacesse a entrambi nella sua ironia feroce. In particolare il ponte di quel brano, con Benvegnu' che distorce la voce come un trapper qualsiasi, ci fa sganasciare dalle risate. "In der nicht sein" e' un altro tipo di impatto sonoro, con quel muro impressionante e quei passaggi semplicemente bellissimi. Poi parte "All'origine del mondo" ma stavolta non mi fregano: sono sicura che "Libero" sara' suonata, ne sono sicura e basta. C'e' da qualche giorno un dibattito in corso, col mio compagno di avventure, su "All'origine del mondo", perche' lui ci sente un brano della colonna sonora di "The fountain" (che entrambi riteniamo sia un film molto ma molto sottovalutato) e si e' addirittura convinto che Benvegnu' qui si sia ispirato a Mansell al punto che anche il titolo del brano potrebbe essere stato scelto di conseguenza. Viceversa io penso che poche note non siano sufficienti per una deduzione cosi' drastica, ma va anche detto che mi diverto da impazzire a dargli torto: fa parte della nostra dinamica d'interazione da talmente tanti anni che a volte mi rendo conto di stuzzicarlo solo per il gusto di farlo. Quelle poche note questa sera ce le regala Zacchei e al ritorno, in macchina, scopriro' che il mio compagno di avventure non riusciva a distinguerle dal resto - al punto da aver dubitato della sua stessa teoria. Poi, con dolcezza, segue "Libero", con quel basso da far girare la testa. Che poi stasera Roccia, che appunto ha letto quello che ho scritto, si permette anche di regalarmi qualche piccola improvvisazione da brivido. La voce di Benvegnu' sorride, io sorrido. Chiudono la prima parte del concerto con l'immancabile "Alla disobbedienza", il brano meno immediato di tutto l'album, e inevitabilmente i miei occhi si piantano sulle mani di Berioli (G.), dalla parte opposta del palco, a seguire quella chitarrina sghemba che mette i brividi. Prima della parte strumentale strumentale del brano, ci salutano, escono, e noi restiamo li' coccolati di nuovo da quella musica ipnotica che ci aveva accolti all'inizio del concerto.


La pausa e' brevissima e rientrano, nel buio piu' completo, prima della fine di "Alla disobbedienza", e quando l'ultima nota evapora e le luci si riaccendono parte un caloroso applauso. Sin qui non e' stata detta una sola parola per non interrompere la magia, ma adesso il nostro si fa piu' loquace, di quella sua loquacita' finto-spavalda che mi ricorda tanto la mia.

Il primo brano che ci regalano e' "La schiena" e penso che certo la Vita e' strana. Quella dottorandina che tanti anni fa ascoltava questa canzone aspettando l'autobus all'incrocio tra viale Marconi e via Pincherle, la sera tornando a casa, con un cuffione ad avvolgerle le orecchie e isolarla dal mondo, oggi torna a casa a piedi, dallo stesso posto e con un simile cuffione: torna a una casa molto diversa da quella di allora, ma appunto ci torna dallo stesso posto, che poi infondo e' la sua vera Casa. Perche' e' quella la Casa a cui sono tornata quando ho preso l'aereo che mi ha riportata a Roma. E a dirla tutta quella Casa era l'unica cosa che in quel momento potesse riportarmi da questo lato dell'Atlantico. E il fatto che stasera, in piedi accanto a me, coi gomiti sulle transenne a condividere questo momento, ci sia proprio la persona che mi ha convinta a tornare, mi riempie il cuore di una dolcezza indescrivibile. A seguire "Andromeda Maria", dolcissima, inizia con Benvegnu' solo con la sua chitarra e gli altri che arrivano dopo il primo ritornello, il tutto con una delicatezza da brivido. Poi un brano "tristissimo ma che sorprendentemente e' in mi bemolle" e gia' dalla descrizione non puo' che essere "Avanzate ascoltate", con tutta la sua dolcezza e il suo calore: e se un tempo questo brano faceva volare i miei pensieri in mille direzioni, stasera mi àncora qui, a questa transenna, presente a me stessa come non mai. E poi ancora "Il mare verticale", con quegli accordi di apertura che di fatto sono il mare verticale, e quel ritmo sincopato che dona il senso alla canzone. Qui confesso di sentire l'assenza di Druga: egregiamente sostituito da Berioli (D.), intendiamoci, ma una parte di me, nel buio del cuore, si augura che prima o poi Drughino torni dietro quella batteria. Poi "Io e il mio amore" che e' di una potenza inaudita e la sua carica esplosiva toglie il respiro e lascia spossati e contenti. E da ultimo, come sempre, "Cerchi nell'acqua", la canzone dei saluti. Scambio uno sguardo col mio compagno di avventure e il mio sorriso e' a meta' tra il soddisfatto ("che ti dicevo? questa e' la canzone di "ciao"!") e il malinconico ("accidenti, il concerto e' gia' finito!"). Tre inchini, tre saluti. Ma noi continuiamo ad applaudire con forza. Cosi' suonano anche "E' solo un sogno", che in effetti e' un'altra ottima canzone di "ciao": un dolce rimandarsi nel mondo dopo questa serata carica di emozioni.

Una ragazza e' piu' veloce di me nel chiedere a Roccia la scaletta ai suoi piedi, un altro, velocissimo, arraffa quella ai piedi di Berioli (G.). Il mio compagno di avventure mi incita a salire sul palco puntando a quella accanto alla batteria ma io tentenno: la verita' e' che non ho il coraggio di salire cosi' impunemente. Per fortuna un tecnico mi vede li' a tentennare, mi fa cenno che non si puo' salire, io indico la scaletta e lui con un sorriso me la porta, risparmiandomi l'imbarazzo.

Resterei ancora, vorrei dare un ultimo saluto a Roccia e vorrei far vedere il mio bracciale di cuoio (con su inciso "La mia verita' e' nell'ostinazione a cercarmi a ferirmi a capirmi ma sono troppo suggestionabile") a Benvegnu', magari senza dire niente che tanto le parole non mi verrebbero. Vorrei trovare il coraggio di fare tutto questo, ma leggo la stanchezza nello sguardo del mio compagno di avventure e non provo neanche a proporgli di restare ancora qualche minuto.


Torniamo a casa con le orecchie che fischiano e i cuori che battono.

Questa sera penso di essere davvero tornata.

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