Un corridoio semibuio in prospettiva; le pareti hanno la vernice scrostata, le luci hanno un che di inquietante. Al centro dell'immagine i quattro (ormai si puo' dire) Kuntz, da sinistra a destra Bergia, Lagash, Godano e Tesio, vestiti con completi a meta' strada tra l'elegante e il kitsch. Il nome della band e' il alto, il titolo dell'album in basso, entrambi scritti piccoli, di un bianco perfetto.
Play.
Non e' stata poi lunga l'attesa da "Nella tua luce", giusto un paio d'anni e mezzo, e con la pausa Pansonica a spezzare il silenzio (che poi io oggi piu' che mai penso che Pansonica non sia del tutto degli anni novanta, ma vabbeh...).
Lunga invece, davvero lunga ahime'!, e' stata la mia di attesa. Gioie e dolori della vita oltreoceano, che se e' vero che certe cose mi arrivano in anticipo e' vero anche che le spedizioni dallo Stivale sono state quasi sempre abbastanza problematiche (Monsieur Cambuzat ricordera' di certo le disavventure che abbiamo passato l'anno scorso...).
Ovviamente avevo acquistato il CD in preordine, e altrettanto ovviamente dall'uscita dell'album (fine gennaio) non ho ascoltato niente di cio' che le reti sociali cercavano di propormi: non un singolo, non un video, neanche le musiche che altri avevano scritto sul testo della traccia titolo... niente: il primo ascolto di un disco e' per me un momento sacro, specie se si tratta di un disco di Marlene.
Purtroppo di questi tempi e' impossible rimanere del tutto all'oscuro anche se lo si vorrebbe: l'occhio inevitabilmente cade sui titoli di troppi articoli e alla fine qualche informazione passa, sempre distorta, cosi' che la magia di quel primo ascolto e' rovinata.
Tant'e': vantaggi e svantaggi del mondo moderno.
Finalmente a fine luglio (sic!) ho avuto per le mani questo album e con religioso rispetto lo ho potuto lasciar suonare.
Maledette siano le reti sociali!
Ti capita di intra-leggere di un ritorno di Marlene alle glorie del passato e cosi' quelle chitarre, li' per li', non ti dicono niente, non spiazzano, non sconquassano, peggio, sono vagamente simili a cio' che ti aspettavi ma non si avverte minimamente questo fantomatico "ritorno al passato": manca completamente l'urgenza di quando loro avevano poco piu' di trent'anni e tu neanche quindici, che poi era tutto il senso di quella Marlene, sicche' riesci solo a domandarti come sia potuto accadere che Godano stia utilizzando la parola "populista" in un testo.
Possibile che proprio quando tutto il mondo si ritrova entusiasta sotto le bandiere del vecchio logo io, proprio io, la fan-acritica, debba storcere la bocca?, non e' che mi sono improvvisamente trasformata in uno di quegli sgradevoli dottor Livore mai contenti?
Poi arriva "Lunga attesa" e cambia tutto: che figli di puttana!, ti dici alla romana sorridendo d'ammirazione.
E cosi' da traccia quattro in poi, tutto l'ascolto del disco cambia completamente e Marlene torna a parlare con la sua voce ruvida e sensuale. E tu resti li', ammaliato e sospeso, mentre lei ti sferza.
E poi via da capo con il secondo, il terzo, il quarto ascolto, e ancora e ancora e ancora.
Senza mai saziarsene.
Quelli che parlano (scrivono) di un ritorno al passato non hanno capito niente.
Ecco, lo ho detto.
Perentorio.
E ora lo elaboro.
Il percorso di Marlene magari non e' lineare ma certamente e' unidirezionale: non torna mai indietro, il suo cammino la spinge comunque sempre altrove.
Marlene non sa stare ferma.
Queste chitarre, seppur graffianti, sono ben lontane da quelle degli anni novanta: grezze e urgenti quelle, raffinate ed eleganti queste, parlano di esseri umani diversi!
Anche i ritmi sono diversi: puoi ascoltarli quanto vuoi, ma nessuno di questi brani sarebbe stato bene dentro "Il vile", che che se ne scriva.
Certo, i passaggi arabo-rock di Tesio sono sempre li', Bergia picchia sempre, il braccio destro di Godano e' sempre rigido e nervoso, e infondo anche io resto sempre la bambina che giocava piu' volentieri da sola con un arco di legno costruito personalmente con un ramo e un pezzo di spago. Pero' ovviamente io oggi sono anche un'altra cosa, ho addirittura un capello bianco (di cui vado fierissima!) e qualche problema al nervo sciatico; e cosi' anche Marlene, pur rimanendo la rockettara degli anni novanta, oggi e' una Signora di cinquant'anni che preferisce il vino alla birra.
E mi sento di aggiungere inoltre che senza la "triade intermedia" ("Che cosa vedi"-"Senza peso"-"Bianco sporco") cosi' come senza il tanto villipeso "Uno" (che a me e' sempre piaciuto, ma si sa che sono di parte) non saremmo mai arrivati qui.
Come sempre mi ammaliano i ritmi, che qui piu' che mai sono potenti ed eleganti.
Bergia stuzzica l'ascolto con tocchi inattesi e passi nuovi all'orecchio di chi lo conosce bene.
La mano destra di Tesio mi sembra piu' morbida che mai e anzi, a tratti mi destabilizza con pause e riprese in controtempo di quelle che proprio non ti aspetti... la destra si', proprio lei: di tutte le mani di tutti i chitarristi viventi (tutti!) la mano destra di Tesio e' quella che vorrei avere io!, della sinistra non mi importa, toh, mi tengo anche la mia, ma la destra...
Eppure questa volta, per la prima volta da quando avevo quindici anni, sono anche i testi a stuzzicare la mia curiosita'.
Dice "ma come?, i testi di Godano non ti colpiscono da cosi' tanto tempo?".
Non ho detto questo.
Ma certo questi mi hanno strappato piu' di un sorriso.
Perche' (tanto per fare un esempio) Godano era quello che diceva che la musica dovrebbe essere eterna e non parlare di attualita', perche' l'attualita' svanisce e tra dieci o vent'anni non parla piu' a nessuno... e allora come mai oggi se ne esce con "Charlie Hebdo"? Ebbene ce lo spiega lui stesso, senza troppi giri di parole: "non e' una novita', non c'e' niente di nuovo". Percio' ecco, se in prima battuta ci rimani male all'idea che il fossanese possa aver cambiato idea basta poco per capire che lui e' sempre lui e se la ride di gusto.
Cosi' come non ha piu' remore ad autocitarsi (perche' no?, cosa mai c'e' piu' da nascondere?) nel cercare di riassumere la sua storia, ma l'acme infondo lo raggiunge nell'ammettere "che la vicenda ha una sua complessita' miserevole".
Lagash ormai e' a pieno titolo il quarto Kuntz dopo dieci anni di formazione a tre; anche in Pansonica aveva guadagnato un posto in copertina, ma qui ne apprezziamo davvero la presenza strumentale, se ne inizia a riconoscere la mano, comincia finalmente a dire la sua, e va detto che ci sta proprio bene.
L'unico rimpianto e' quello di vivere a troppi chilometri da un concerto di Marlene, cosa di cui oggi piu' che mai sento la mancanza, ma prima o poi capitera' che io sia nello Stivale durante un tour, perche' per lo Stivale ogni tanto ci si passa, e sara' bellissimo esserci di nuovo, me lo prometto.
Cosi', giusto per coccolare il mio ego in mancanza d'altro, rileggo quello che scrivevo a proposito dell'album precedente e... toh...
Cosa manca per farne un grande album? Sicuramente qualcosa, ma se vogliamo dar credito alla mia teoria, questo qualcosa sara' nel prossimo...
Ma guarda un po'.
Lista delle tracce:
Narrazione
La noia
Niente di nuovo
Lunga attesa
Un po' di requie
Il sole e' la liberta'
Leda
La citta' dormitorio
Sulla strada dei ricordi
Un attimo divino
Fecondita'
Formidabile
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