Una foto a colori rovinata, usurata dal tempo e dal tocco di troppe mani: un uomo e una donna sui trent'anni, forse meno, persone vere sedute nel salotto di casa, lui ha una mano sulla spalla di lei. La parete sullo sfondo e' di un verde bluastro imbarazzante e i mobili sono sufficientemente sfocati da non essere davvero riconoscibili: forse un vecchio televisore fa capolino da dietro la spalla di lei. Il nome dell'autore e' in alto, il titolo dell'album in basso, entrambi in lettere chiare e pesanti, bianchissime.
Play.
Cinque anni?, davvero sono passati cinque anni da "The age of Adz"? Si', davvero, e tanta acqua e passata sotto i ponti, cosi' in fretta che era facile non accorgersene, ma poi Sufjan Stevens pubblica un nuovo album e te ne accorgi: cinque anni, eccoli qua.
Il primo ascolto e' avvenuto in bici in riva al lago Ontario, un tardo pomeriggio di questa primavera canadese esplosiva: profumo di fiori nell'aria, cielo azzurrissimo, il sole che inizia ad abbassarsi e si riflette sulla superficie dell'acqua, una leggera brezza che mi viene incontro mentre pedalo, pace. Per ragioni che non sto a spiegare ho voluto scegliere con cura il momento e penso sia stata una scelta azzeccata.
Abbandonati gli arrangiamenti magniloquenti e le composizioni prolisse, l'ormai maturo Stevens si affida esclusivamente a una chitarra classica appena arpeggiata, un banjo e una chitarra acustica (forse) e a tratti un pianoforte ovattato, regalandoci un album delicato e carezzevole, intimo, intenso.
Cosi' diretto da fare male.
Le musiche, i dolcissimi arpeggi, fanno da perfetto tappeto alla voce carezzevole di Stevens mentre si mette a nudo di fronte all'ascoltatore, mostrando tutta la sua debolezza con onesta' destabilizzante: "I am a man with a hart that offend with its lonely and greedy demands" dichiara pacificamente, quasi con noncuranza, e tu li' a bocca aperta, colpito violentemente da qualche parte infondo allo stomaco, pervaso dai sensi di colpa per non aver capito come questa semplice verita' si adatti a tutti, anche e soprattutto a chi sembra voler fuggire.
Basta una brevissima ricerca via mr. Google per scoprire che Carrie era la madre di Stevens, bipolare e schizofrenica, dedita a uso di sostanze stupefacenti da cui era dipendente, morta di cancro allo stomaco tre anni fa; Lowell invece e' stato il suo patrigno per cinque anni, quando Stevens era un bambino: ascoltando l'album deduco che Lowell deve essere stato una figura di riferimento importante, il simbolo di un breve periodo sereno in un'infanzia altrimenti devastata.
E' un album su una madre che non c'e', ma non da oggi, non perche' e' morta, anzi, forse allora c'era anche meno: la presenza fisica a volte non e' che una maggior solitudine. E' un album su un amore dal figlio alla madre distante, un sentimento che non ha mai avuto la forza di esplicitarsi e che forse anche per questo non ha fatto che accrescersi, nell'assenza e nel desiderio di un gesto dolce di qualsiasi tipo, una carezza, un abbraccio. E' un album su un padre che non e' propriamente un padre ma in un qualche senso e' molto di piu': e' la colonna portante della felicita' in un mondo confuso.
Stevens si spoglia con naturalezza e dolore, e la sua nudita' fa tremare.
E ovviamente ci sono i continui riferimenti biblici tipici della poetica del nostro, quelle immagini evocative che sono la sua ancora oggi che e' un adulto. A ciascuno il suo.
Eppure forse c'e' anche qualcosa che Mr. Stevens non ha voluto dire ad alta voce a giornalisti e recensori vari e per questo nessuno ne parla, perche' una cosa come questa, proprio per sua natura, non si puo' confessare. C'e' un amica che e' e rimarra' un'amica, qualcuno a cui lui vuol bene "more than the world can contain". E' un affetto che in alcuni momenti e' facile scambiare per qualcosa di diverso ma no, e' un'amica, e in ogni caso e' bene che resti un'amica, per tante di quelle ragioni che non ha neanche senso mettersi a elencarle: dopotutto "a friend is a friend and we all know how this will end". Una persona cosi' importante, un'amica cosi', non si puo' rischiare di perderla per nessun motivo al mondo: la cosa migliore e' concludere come fa Stevens, chiedendo semplicemente di rimanere l'uno nella vita dell'altra, esattamente cosi' com'e', rimanendo lontani quel tanto che basta per non commettere errori.
Ma forse tutto questo ce lo sento solo io.
Lista delle tracce
Death with dignity
Should have known better
All of me wants all of you
Drawn to the blood
Eugene
Fourth of July
The only thing
Carrie & Lowell
John my beloved
No Shade In The Shadow Of The Cross
Blue Bucket Of Gold
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