martedì 21 luglio 2015

The Flaming Lips @ Nathan Phillips Square - Toronto

19 luglio 2015

Il destino ha voluto che quest'anno i Giochi Panamericani si svolgessero a Toronto, appena in tempo per il mio ritorno dalla tournee' europea di inizio estate: non che io sia particolarmente interessata ai giochi, intendiamoci, ma e' l'estetica del contorno che mi affascina.

Ovviamente l'evento che piu' ha attirato la mia attenzione e' l'arrivo in citta' (anzi, in Citta') delle labbra fiammeggianti, che per l'occasione hanno suonato nella piazza davanti al municipio.
Nonostante si tratti un gruppo che ammiro molto non avevo mai avuto la fortuna di vederli dal vivo, eppure sapevo di concerti stellari e fuori di testa almeno quanto la loro musica, sicche' questo non faceva che aumentare la mia curiosita': si aggiunga infine che il concerto era gratuito e... beh, era ovvio che sarei andata.

Tra l'altro in questi giorni e' venuta a trovarmi una mia amica con sua figlia; l'amica (dieci anni esatti piu' di me) e' gia' stata mia compagna di avventure in un altro paio di occasioni decisamente stellari (qui e qui), la figlia ha dodici anni e questo e' stato il suo primo concerto, il suo battesimo del fuoco.
Consce che a sera avremmo dovuto essere li' abbiamo deciso di usare la giornata per visitare Toronto: del resto, tra un bosco e una cascata, qualche grattacielo e la CN Tower sono un piacevole diversivo.

Il concerto avrebbe dovuto iniziare alle sette ma si sa come vanno queste cose percio' non ci affacciamo alla piazza prima delle sette e mezzo. I La Bottine Souriante (immediatamente ribattezzati con affetto casereccio i "Monteral City Ramblers") stanno gia' suonando il loro allegro folk di paese e noi subito gli andiamo dietro saltellando: sono davvero bravi e coinvolgenti, perfetti per una festa di paese. Cantano in un francese troppo strano perche' io possa capirne i testi ma non importa, si balla. Mancano di batterista, tengono il tempo con scarpe da tip-tap e hanno un personaggio-ballerina che e' decisamente la beniamina del pubblico.
Insomma, una gradevole sorpresa che forse puo' valer la pena di approfondire con calma.

Scendono dal palco intorno alle otto e mezzo, il sole non e' ancora calato e due presentatori salgono sul palco; dicono qualcosa tipo "sapete tutti chi deve arrivare adesso" e la folla scalpita: non dicono il nome ma usano un inquietante "she" invece che "they"... finche' indicano il secondo palco, quello piccolo, dicendo "Kiesza": la nostra dodicenne si muove al grido di "questa la conosco", io e la mamma ci guardiamo spaventate...

La suddetta Keisza e' peggio di ogni possibile aspettativa ma per fortuna la bimba si trova costretta ad ammettere che e' noiosa, sicche' gia' prima della fine del primo brano torniamo alla nostra posizione verso il palco principale. Lo stanno allestendo, la gente comincia lentamente ad ammassarsi, forse e' vero che qualcuno laggiu' sta guardando Kiesza, ma non poi molti rispetto a quanti gia' emettono suoni entusiasti al solo soundcheck dove siamo noi.

Un paio di ragazzi si sono vestiti a tema, con occhiali da sole buffi, facce argentate, caschi spaziali di luci stroboscopiche... inizio a sentire l'atmosfera e sorrido.
A un certo punto Coyne esce, si fa un giro del palco, alza la mano, prova il microfono e dice qualcosa ai tecnici: e' gia' un boato. Kiesza canta, balla, si rivolge al pubblico e nessuno la guarda: Coyne gode e si vede.

Finalmente alle nove e venti Kiesza saluta, ringrazia il pubblico ("quelli che non erano girati dall'altra parte...", penso io) e se ne va.
Salgono i presentatori sul palco piccolo mentre i Flaming Lips sono gia' sul palco principale: nessuno ascolta i presentatori, siamo qui scalpitanti e trepidanti con un sorriso stampato in faccia.

Finalmente i presentatori se ne vanno, si spengono le luci e lo spettacolo ha inizio.
Perche' un concerto dei Flaming Lips e' un vero e proprio spettacolo.

Si parte dolcemente con "The abandoned hospital ship", un paio di uomini-fungo e un uomo-arcobaleno sono piazzati ai lati e alle spalle di Coyne, poi, all'esplosione del brano, esplodono coriandoli e palloncini colorati, e luci psichedeliche sembrano cadere da quelle che credevo essere semplici corde e in realta' erano cavi luminosi; non resisto e fotografo incantata come una bambina, la figlia della mia amica e' in visibilio.


Segue a ruota "Fight Test" con Coyne che caccia una scritta argentata gonfiabile 'fuck yeah Toronto' e la lancia a un pubblico festoso. Poi l'immancabile "She don't use Jelly", che se non l'avessero suonata mi sarei offesa a morte: e' una festa, un party allucinato, odori di erbe ricreative che ci assalgono da ogni lato ("Cos'e' quest'odore di barbecue?" ci chiede l'infanta con un'innocenza commovente), colori sul palco, psichedelia audio-visiva e allegria collettiva.
"Per il prossimo brano vorrei chiedere il vostro aiuto" dice Coyne "dovete ripetere 'yeah yeah yeah' tutti insieme!" urlo festoso di quelli che hanno gia' capito "ma se non ci riuscite e dite 'no no no' va bene lo stesso" e ovviamente parte "The yeah yeah yeah song (with all your power)".
Arriva il turno di "Yoshimi battles the pink robots, pt. 1" ma al 'ta-ta' del primo verso Coyne ferma tutto. "Scusate, io non fermerei mai niente se non per qualcosa di davvero brutto" dice serissimo "Vedete, da quel 'ta-ta' noi capiamo come sta andando la serata... quindi se volte che questa serata sia bellissima, che la vostra vita sia bellissima" (risata) "dovete fare un 'ta-ta' molto meglio di cosi'!" Ricominciano; "Her name is Yoshimi... be prepared... she's a black belt in karate" ed e' un 'ta-ta' di tutto rispetto che fa annuire Coyne di soddisfazione.
Poi ancora come un treno "Feeling yourself disintegrate", altri pupazzi, altre esplosioni, dopodiche' "Vein of stars" che vede Coyne chiudersi dentro una palla gonfiabile semitrasparente, rotolare sul pubblico e andare a cantarla da una pedana al centro del pubblico: l'emozione e' troppa perche' io possa esimermi dallo scattare un'altra foto come fanno praticamente tutti intorno a me...


Riemerso dalla bolla ci sparano una "The W.A.N.D." agli ultrasuoni e balliamo tutti di gusto, incuranti del gran caldo, della fatica, di tutto: la psichedelia ha avuto il sopravvento.
Per il gran finale Coyne prepara "Alla fine del brano comparira' la scritta 'love' qui dietro e allora voi dovete ripetere 'love' con tutta la forza che avete: voglio che a miglia da qui si pensi che un dio o un alieno benevolo e' sceso in piazza a Toronto... oppure che una banda di fricchettoni sta gridando 'love', va bene lo stesso" e parte "A spoonful weighs a ton": il gran finale, con quel mantra ripetuto da centinaia (migliaia?) di persone e' un boato di gioia.

Pausa.

Riemergono dopo neanche un minuto ma Coyne mette le mani avanti "Facciamo solo un ultimo brano, mica per altro ma e' che subito dopo di noi qui, proprio qui sopra la mia testa, ci saranno i fuochi d'artificio e noi vorremmo scendere dal palco prima che inizino...". Tra le risate del pubblico parte "Do you realize??" che mi tocca come non aveva mai fatto prima, strappandomi un sorriso.

Saluti, applausi, fine.
I preannunciati fuochi d'artificio salutano la fine del concerto.

Con corpi stanchi, occhi stanchi, menti stanche, anime stanche ci dirigiamo verso la stazione: la bimba e' aggrappata al mio braccio mentre sonnecchio felice e soddisfatta sul pullman del ritorno.

martedì 14 luglio 2015

Amaury Cambuzat - Plays Ulan Bator [2014]

Sfondo nero, una specie di stanza onirica: sulle pareti la carta da parati rosso-bordeaux dai toni floreali si straccia qua e la' lasciando intravedere dei disegni che forse vogliono esser quadri; dal pavimento (legnoso in alcune parti e perfettamente riflettente in altre) emergono due scheletri di albero; al centro della stanza una poltrona in pelle verde su cui siede rigidamente Cambuzat; un razzo, una lampadina accesa e un cactus sono disegnati con inchiostro bianco a sinistra, in alto e a destra rispettivamente. Il nome dell'autore e' in alto, il titolo dell'album in basso, entrambi scritti come con un pennello sghembo intriso di vernice bianca.

Play.

Fa sempre uno strano effetto sentire un ri-arrangiamento di brani precedentemente ascoltati e amati; a prescindere dalla validita' del ri-arrangiamento al primo colpo disorienta, al secondo forse un po' infastidisce, al terzo stimola e solo al quarto si comincia a farsene un'idea per quello che e': sono tutte fasi assolutamente inevitabili, e' fisiologico e anche bello sia cosi'.
Cosa succede dunque se Cambuzat, il capitano di quella che lui stesso ha chiamato "generazione elettrica", suona in acustico dei brani che nascono pensati con l'overdrive?, o almeno, come lo percepisce il mio orecchio abituato a certe sonorita' da quando avevo quindici anni?

Quando ascolto gli Ulan Bator la prima sensazione che mi viene e quella di un gradevole senso di nausea auditiva, uno stordimento sconquassato dei sensi, un'ubriacatura di quelle pesanti che ti danno completamente alla testa e non ti fanno camminare dritto, un viaggio allucinato e violento.
Per rendere l'idea: non mai ho conosciuto un solo animale che potesse gradevolmente rimanere nella stanza dove il mio stereo suonava un loro album.

La versione acustica manca di tutto questo: la nausea e la violenza sono notevolmente attenuate quando non del tutto svanite, si entra piuttosto in un ambiente onirico ammantato di psichedelia e forse un filo di malinconia: da Burgess a Baudelaire o Dali' se mi sono concessi gli accostamenti estremi, tant'e' che Ofelia rimane accanto a me quando lo ascolto dallo stereo... d'accordo, ogni tanto muove leggermente un orecchio con disapprovazione (vaglielo a spiegare che una dissonanza puo' nascondere mondi di bellezza) ma basta una carezza per tranquillizzarla.

La chitarra acustica ha questo potere incredibile di addolcire anche quelle che nel mio immaginario sono le espressioni per antonomasia della violenza ubriaca, snaturandone completamente l'essenza per donar loro una certa delicatezza sognante, rendendole a tratti irriconoscibili, tanto che qua e la' mi pare di ascoltare brani che non avevo mai sentito prima, mentre in realta' solo "Along the borderline" e' nuova alle mie orecchie: questo ovviamente e' decisamente un valore aggiunto.
E altrettanto ovviamente la voce di Cambuzat qui viene usata molto piu' che altrove (immagino che i brani non siano stati scelti a caso) e si adatta volentieri al ri-arrangiamento: il cielo basso e greve, pesante come un coperchio, a volte addirittura si solleva lasciando intravedere un tramonto rarefatto.

Tirando le somme?, beh non credo sia semplicemente una chicca da fan-collezionisti, ma che anzi sia da considerarsi a tutti gli effetti un nuovo ottimo lavoro di gradevole ascolto.

Devo ammettere che il mio recente ingresso nelle cosiddette reti-sociali ha i suoi indiscutibili lati positivi, su tutti quello di essere costantemente aggiornata (in tempo quasi-reale) su certa musica di mio interesse, cosa che in effetti non avevo mai preso in considerazione e che invece adesso mi sta regalando delle occasioni splendide: vedere il mio nome tra i "produttori esecutivi" di questa perlina acustica ne e' ulteriore riprova, nonostante il tempo incredibilmente lungo che ha richiesto dover attendere il pacco dall'Europa.


Lista delle tracce:

La Joueuse de Tambour
Mister Perfect
Lumière Blanche
Pensées Massacre
Hiver
Terrorisme Erotique
Embarquement
Along the borderline
Soeur Violence
Torture

giovedì 9 luglio 2015

Video-intervista

Trovate un'ora per vedere questo: 

Deficit - il punto sull'Europa tra sogno e realta': Alberto Bagnai



...comincio sul serio ad aver paura.