venerdì 19 giugno 2015

Una dedica

Ed eccoci qua, io e te, tu ed io: la nostra amicizia unica, perfetta, indescrivibile.

Non abbiamo parole per raccontarci, non sono mai state inventate, ma mi e' stato detto che quando ti fanno il mio nome nel tuo sorriso si intravede un barlume del nostro mondo privato.
Lo so, lo sai, e' in tutte le parole che non abbiamo mai detto e non diremo mai: e' cosi' da sempre, sara' cosi' per sempre.

Nel modo in cui ci veniamo incontro non appena incrociamo gli sguardi, nella familiarita' che ritroviamo immediatamente, nella dolcezza del trascorrere un pomeriggio dei nostri come se nulla fosse cambiato, nella voce che trema in modo appena percettibile quando ci salutiamo per chissa' quanto tempo... oggi anche il ricordo del lungo inverno canadese e' svanito e mi sono sentita di nuovo, finalmente, a casa.



mercoledì 17 giugno 2015

Muse - Drones [2015]

Grigio su grigio; una "persona" seduta a una scrivania tiene in mano una specie di cloche rossa, ci da le spalle ed e' rivolta verso una parete dove uno schermo mostra una sequenza di soldatini stilizzati: non ha la testa ma a sua volta una cloche rossa, tenuta saldamente da una mano gigante bianchissima. Il logo del gruppo e' in alto a sinistra, il titolo dell'album in basso a destra. Il tutto emana una freddezza composta.

Play.

Il nuovo millennio era appena cominciato, sara' stato marzo, forse aprile. Quel giorno c'era assemblea, come al solito in palestra: l'argomento del giorno non era particolarmente interessante ed io me ne stavo adagiata mollemente su un materassino a discutere di musica con un amico di un'altra sezione. Me lo ricordo come fosse ieri quel momento, lui che mi dice "Senti questo, e' uscito da pochi mesi" e mi spara in cuffia "Sunburn": fu una doccia fredda e poi rimasi li' ipnotizzata a sentire tutto l'album in apnea.

Da allora ho sempre seguito con grande attenzione le vicende del terzetto inglese: potenti ed eleganti, gente che ha chiaramente studiato la musica classica e allo stesso tempo ha assimilato il punk, musicisti di bravura notevole che non hanno paura di strizzare un occhio a zio-sintetizzatore, perche' tutto puo' essere usato nel loro bel rock d'impatto. E indiscutibilmente animali da palcoscenico spaziale.

Quando metti su un album dei Muse sai sempre che ti aspetteranno dei colpi possenti di batteria, dei bassi importanti e mai banali, delle rapide progressioni alla chitarra o al piano, e la voce in falsetto di Bellamy che ti penetra dentro.

Gia', lo sai, ed e' proprio questo il problema di "Drones", il loro settimo album in studio.
Chissa' perche' ci si dimentica facilmente degli infelicissimi episodi precedenti (perche' diciamocelo, "The resistance" e "The 2nd law" erano album di cui si poteva tranquillamente fare a meno) e ci si mette all'ascolto sperando in un nuovo colpo di fulmine.
Ma la verita' e' che sai benissimo cosa aspettarti e non ti sorprende piu'.
Anzi.
Sara' forse un'impressione eccessiva, ma certi passaggi mi sembra di averli proprio gia' sentiti, certi brani me ne fanno venire in mente altri e a tratti le associazioni mi paiono chiarissime.
Insomma, non aggiunge una virgola alla produzione precedente.
Per finire l'ossessione complottista di Bellamy comincia a puzzare di stantio, sicche' anche i testi non entrano mai.

Non riesco dire che si tratta un brutto album, lo stile e' come sempre gradevole all'ascolto, il ritmo da la carica e non manca di momenti decisamente buoni: la loro musica e' un'ottima colonna sonora per quando ci si sente forti, carichi, combattivi e anche un po' sbruffoni (io sono quella che ascolto' 10 volte di fila "Butterfly and hurricanes" prima di discutere la tesi di laurea... per dire), e di certo attendo un loro eventuale passaggio in citta' (anzi, in Citta') con un certo desiderio.
Pero' boh?, davvero bisogna considerare finita l'epoca in cui i Muse stordivano il cervello?
Forse si', e forse tutto sommato al settimo album e dopo quindici anni di luminosa carriera e' anche ingiusto aspettarsi il capolavoro.


Lista delle tracce

Dead inside
[Drill sergeant]
Psycho
Mercy
Reapers
The handler
[JFK]
Defector
Revolt
Aftermath
The globalist
Drones

martedì 9 giugno 2015

Pulkovo

San Pietroburgo e' una citta' molto difficile da catalogare: elegante come Vienna, magniloquente come Parigi, bella come Roma, curata come Zurigo, affascinante come Venezia, colorata come nessuna.

Fortemente voluta da Pietro il grande che l'ha fatta a immagine e somiglianza delle piu' belle citta' europee e delle loro corti sfarzose: ma lui era lo Zar della grande Russia e quindi doveva essere di piu'. Doveva essere proprio li' dove la Neva si getta nel mar Baltico, per favorire e ampliare la connessione commerciale e culturale  con l'Europa, e tutti dovevano sognare di trasferirvisi nonostante il clima decisamente sfavorevole (e questo lo dice una che ha visto il "winter blues" nell'Ontario del sud). Ha fatto portare tutta la pietra di tutte le citta' della Russia, perche' la pietra doveva essere solo li', perche' la corte doveva essere li', in una versione ingigantita di Versailles; ha chiesto ad architetti italiani (i migliori in circolazione) di disegnare edifici e monumenti; ha voluto che i grandi scienziati sedessero alla sua mensa; ha voluto giardini labirintici dove passeggiare d'estate ed enormi palazzi dagli interni dorati dove scaldarsi durante l'inverno; ha imposto uno stile di vita europeo ad amici e sudditi.

E nonostante l'insormontabile barriera linguistica (in pochi parlano o capiscono l'inglese), nonostante il fortissimo vento gelido del nord che non si ferma mai, nonostante sia difficile togliere completamente quel velo di malinconia tipica dell'est dal fondo dei loro occhi, questa gente lo vedi che e' diversa, che e' europea per atteggiamento e stile.

La mia prima volta a San Pietroburgo risale a quasi undici (argh!) anni fa: ero stata prima a Mosca, poi un giro per l'Anello d'oro e infine, dopo una notte su un improbabile treno da film verista, ero arrivata qua, nella citta' che sognavo di vedere da quando, a quindici anni, l'avevo percorsa fianco a fianco con Raskol'nikov nel suo vagare sconclusionato. E gia' allora (sicuramente aiutata dal passaggio preliminare per Mosca) avevo capito chiaramente la differenza.
Oggi, a quasi undici anni di distanza, e' aumentato esponenzialmente il traffico (non parlero' mai piu' male del GRA, lo giuro) ma a parte questo non e' cambiato niente.

L'inverno canadese oltre ad avermi ovviamente forgiata abbastanza da farmi soffrire meno il freddo ha arricchito di esperienza il mio sguardo verso l'esterno: i SanPietroburghesi non sono Europei, questo no, ma ai miei occhi lo sono senz'altro di piu' dei Torontesi e degli Hamiltoniani.
"San Pietroburgo e' una citta' nuova, ha solo 300 anni" ti dicono gli indigeni, la' dove gli Hamiltoniani commentano "Hamilton e' una citta' antica: ha quasi duecento anni"....

Ed e' bella, bella da pazzi.
E i suoi colori spezzano il fiato, e i suoi canali fanno innamorare, e la sua imponenza ti incatena l'animo, e i suoi parchi danno pace (allenarsi tra i castagni alle sette del mattino e' un'esperienza mistica, lo giuro), e la Neva apre il cuore.

In giugno poi succede una cosa bellissima, che puoi pure saperla, ma vederlo, viverlo, e' un'altra cosa: non e' mai buio.
Mai.
A mezzanotte, il momento piu' scuro, comunque il cielo non e' nero: alle due comincia ad albeggiare mentre i ponti sulla Neva sono ancora su per far passare le barche e il silenzio e' interrotto solo dalle nostre voci entusiaste.

Poi, quando finalmente torni a Pulkovo, cerchi di osservarne i dettagli come da promessa; non appena passi i controlli ti fanno entrare nel duty-free dove sei circondato da infinite bottiglie di vodka. Sorridi. E' scarno; pochi negozi, poco cibo-spazzatura, pochi posti a sedere: fino ad ora non l'avevi sentito, ma a quanto pare qualcosa del comunismo, in forma debole, e' ancora vivo anche a San Pietroburgo.

martedì 2 giugno 2015

Aeroporti

Un aeroporto dice molto della citta' che lo ospita: in alcuni casi (penso in particolare a Male' che mi colpi' olremodo) questo e' portato a livelli estremi; in quelli del cosiddetto "mondo occidentale" la differenza e' piu' sottile, ma c'e' eccome. Forse ci vogliono (almeno) nove mesi di vita dal lato ovest dell'Atlantico per capirlo fino in fondo, ma poi lo vedi e ci rimani di sasso.

Pearson tutto sommato e' un aeroporto senza fronzoli; camminare nel terminal dei voli internazionali o lungo la strada verso di esso non e' diverso dal camminare su Yonge Street, almeno non nello spirito: odori di zuccheri chimici di vario genere nell'aria, cibo in (s)vendita ovunque, principalmente fatto di sostanze plasticose anche quando gli ingredienti sembrano "veri". E tecnologia lasciata la' per alienare: lunghi tavolini alti dotati di comodi sgabelli da bar, e davanti a ogni sgabello un iPad acceso e utilizzabile da chiunque ne abbia voglia.
File di zombie seduti a giocare con uno schermo.

Charles de Gaulle ha la puzza sotto il naso tipica dei parigini: comode poltroncine di cuoio coloratissimo (rosso-fuoco, verde-pistacchio, arancione, prugna), luccicanti vetrine di profumi, gioielli e abiti firmati. Al terminal degli intercontinentali c'e' si' un McDonalds, ma e' uno solo, e anche quello riesce a sembrare chic, con delle specie di divani al posto delle solite trucide sedie di plastica.

Passeggio per l'aeroporto e gia' sento odore d'Europa, il vecchio continente mi accoglie nella sua versione piu' magniloquente; e Parigi e' la fuori con tutta la sua grandeur.
Non la vedro' questa volta, sono di passaggio: ho dei dolci ricordi legati a Parigi e prima o poi spero di poterne aggiungere di nuovi, ma non oggi.
Oggi vado in un'altra citta', altrettanto imperiale anche se con un anima completamente diversa, non esattamente europea anche se i suoi edifici ne ricalcano in parte lo stile, una citta' dove sono stata tante di quelle volte nelle mie letture adolescenziali che quando l'ho vista dal vivo quell'unica volta (piu' di dieci anni fa) mi e' entrata dentro per sempre. All'arrivo ovviamente passero' troppo rapidamente per l'altro aeroporto, avro' piu' tempo al ritorno, lo studiero' e, se ne avrete voglia, condividero' con voi le mie impressioni su di esso.































































(Comunque giuro che non avrei mai pensato di sentirmi a casa davanti a una vetrina di Armani.)