domenica 21 dicembre 2014

Esagerazioni

Un amico canadese mi ha chiesto di tradurgli i testi di Earth Hotel: decisamente non si tratta di un'operazione facile ma e' anche un ottimo esercizio di lingua quindi lo ho fatto molto volentieri.

...e dunque vi sono entrata ancor piu' in profondita', ne ho letto i testi piu' e piu' volte, mi sono sforzata per trovare la parola giusta o la giusta perifrasi... e accidenti a lui/loro, quest'album davvero mi vuol parlare: non c'e' un solo brano che io non possa associare in un qualche modo al mio essere e/o agli ultimi due anni e mezzo della mia vita.

Sicche' mi e' venuta voglia di scriverne una seconda recensione, brano per brano, verosimilmente a puntate, ma rischia di essere una cosa un po' onanistica e che non interessa nessuno e anzi, magari infastidisce qualcuno. Percio' ho deciso di mettere la cosa ai voti secondo le seguenti regole:

1) se nei commenti a questo post dovessero arrivare almeno una decina di voti a favore lo faccio,

2) se dovessi ricevere anche un solo voto contrario non lo faccio,

3) se il voto contrario dovesse arrivare in un secondo momento (anche dopo la pubblicazione di uno o piu' post) interrompo immediatamente e cancello i post pubblicati.

Sia aperta la votazione.

domenica 14 dicembre 2014

Marlene Kuntz @ C.S.O. Pedro - Padova

13 dicembre 2014

Due concerti uno dietro l'altro non li avevo mai sentiti. E non due concerti a caso, qui si sta parlando dei miei grandi amori: quello relativamente nuovo (e che ormai temo stia scalzando definitivamente tutto il resto) e quello di sempre, quello che rimane per sempre scolpito nel cuore.
La fortuna ha voluto che mia personalissima "tournee' europea", tra le tappe lavorative di Milano e Zurigo, coincidesse con la tournee' italiana di questi due capisaldi del mio cuore. Dunque al diavolo razionalita' ed economia: che si parta, si percorra lo stivale malandato, si usi la ghiotta occasione per sentirli.
Nel caso dei cuneesi l'occasione e' doppiamente ghiotta perche' questo non e' un tour qualsiasi: e' l'omaggio al disco che ha cambiato la mia vita di ascoltatrice quando avevo 15 anni, il tributo definitivo.
Guardando le date del tour catartico dalla mia postazione oltreoceano non avevo molti incastri: la scelta e' ricaduta quasi obbligatoriamente su Padova.
Per finire, a coronamento, questa volta ho un accompagnatore d'eccezione a suggellare il grande evento: il buon Viktor e' la persona giusta per condividere questa assurda avventura.

Arriviamo al locale in largo anticipo per essere sicuri di trovarlo; e' forse una delle zone piu' infami di tutta Padova e a saperlo avremmo girato in centro un poco piu' a lungo: in strada veniamo anche importunati da una coppia di ragazzi ubriachissimi che un po' mi impressionano (hanno l'aria di essere innocui da sobri, ma da ubriachi non si puo' mai dire) e in quel momento ringrazio la mia buona stella per il fatto di potermi aggrappare al braccio di Viktor in cerca di protezione, ma questa e' un'altra storia e si dovra' raccontare un'altra volta.

Siamo dunque tra i primissimi a entrare, come quando si aveva 16 anni; il posto e' piccolo e ancora vuoto, ci dirigiamo sotto il palco nonappena capisco qual'e' il lato-Tesio (ovviamente). L'atmosfera e' quella giusta, l'ambiente fa pensare a un'inquadratura de "Il cielo sopra Berlino" (mai scelta fu piu' adatta alla situazione), la compagnia e' perfetta: ci sara' di che godere, ne sono sicura.

Il palco e' sistemato per loro, questa sera niente gruppo spalla: gli amplificatori, la pelle della cassa, la parete alle loro spalle, sono tutti coperti da veli su cui e' disegnato in bianco e nero lo stesso schizzo che, colorato, e' la copertina di Pansonica.
In rete scrivevano che il concerto sarebbe iniziato alle nove ma siamo in un centro sociale occupato e al concerto dei Marlene Kuntz: non mi aspetto di vederli sul palco prima delle dieci e mezzo, verosimilmente anche dopo.
Ad un certo punto notiamo che la ragazza in piedi accanto a Viktor si sta sistemando il trucco: indossa un vestitino che fa decisamente a pugni con l'aria trasandata del centro sociale e noi due ridiamo come pazzi.
Ormai il locale e' stracolmo e ci guardiamo intorno: a parte pochissime persone che potrebbero avere l'eta' di Catartica, il resto del pubblico ha un'eta' visibilmente maggiore o uguale della mia, segno che questa serata in un certo senso e' una specie di raduno di vecchi amici del bel tempo che fu.

Sono le undici quando la musica tace e le luci si spengono, la folla che scalpitava gia' da un po' si fa piu' rumorosa. Poi dei faretti si accendono puntando sulla parete di fondo e le loro luci vi si muovono sopra sinuose come serpenti; parte una musica registrata ma stavolta e' diverso, il volume e' diverso, e' chiaro che questa fa parte dello spettacolo: e' una musica che odora di india e di incantatori di serpenti. Mi ci vuole qualche secondo per riconoscerla e quando capisco non posso far altro che pensare che sono dei figli di puttana, inteso con immensa ammirazione, come forse solo un romano potrebbe intenderlo: e' "Kuntz" dei Butthole Surfers, il brano da cui hanno tratto ispirazione per il cognome della bella Marlene, forse venticinque anni fa.
Geniali bastardi. Sorrido.

Entrano e la folla esplode.
L'apertura e' consegnata a "Mala Mela" (diavoletto rossa) che in tanti anni non mi era mai capitato di sentire dal vivo: inizia apparentemente soffice ma poi ti esplode in faccia e ti lascia li' inebetito; poi di seguito "1°2°3°" e "Fuoco su di te", raffiche sonore, energia allo stato puro, impatto devastante: Godano, tanto per cambiare, e' gia' sudatissimo, Bergia lo sarebbe se non fosse per un piccolo ventilatore sistemato sul suo fianco destro, Lagash si sta divertendo da pazzi, Tesio balla (!). Non paghi attaccano "Giu' giu' giu'" in una delle versioni piu' potenti che io abbia mai sentito; non e' umano continuare con questo ritmo, non credo di poter reggere, non ho piu' il fisico, e infatti ci infilano "Gioia che mi do", che comparata al resto e' una ballata delicata che serve a riprender fiato (sic). La 'pausa' (se cosi' la si vuol chiamare) e' finita, si puo' ripartire con "Canzone di domani" cui attaccano una coda noise di grande impatto e potenza. Silenzio di pochi secondi, un veloce passaggio dalla diavoletto rossa alla nera, e parte possente il basso di Lagash per "Donna L": mi sembra che la voce di Godano non sia mai stata cosi' energica e coinvolgente, a malapena riesce lui stesso a reggere i suoi ritmi. E' il turno di "L'oblio" e se prima avevo dei dubbi ora non ne ho piu': e' evidente che Pansonica, pur fatto di brani scritti negli anni novanta, e' stato ripensato da musicisti che suonano assieme da venticinque anni!, c'e' una fluidita' diversa, meno irruente e ingenua nell'esecuzione, alcuni passaggi armonici, alcuni colpetti sui piatti, sono chiaramente il frutto di vent'anni di carriera.
Finito il pezzo Godano saluta il pubblico, ringrazia, rievoca quella volta di vent'anni prima in cui erano stati li', spiega (come se ce ne fosse bisogno, come se non lo sapessimo gia' tutti) lo scopo celebrativo del tour e di Pansonica.
Applauso.
E' il turno di "Parti": certo che sto Pansonica e' davvero potente!
Un altro cambio dalla nera alla rossa e parte "Lieve" in una versione accelerata e potenziata, poi "Trasudamerica" per placarsi un attimo e a seguire l'esplosione di "Sig.Niente". E sara' l'ambiente, sara' la serata, sara' il brano, ma qui, questa sera, in questo momento, sento fortissimo il legame che aveva Godano con il Nick Cave di "From her to eternity": anche il fossanese si dimena sul palco con una sensualita' animale selvaggia, gronda sudore a goccioloni sul pavimento, sulla chitarra madida anch'essa del sudore di lui come un'amante nel pieno dell'atto, sulla batteria di Bergia ogni volta che vi si avvicina. Siamo arrivati a "Capello lungo", altra esplosione, altri brividi; dal vivo si sente ancora di piu' che hanno cambiato un poco il finale rispetto a come la suonavano piu' di vent'anni fa: quell'arpeggio era troppo bello per rischiare di non registrarlo mai (e quando usci' Catartica non era assolutamente ovvio che ce ne sarebbe stata occasione) sicche' lo avevano attaccato a "1°2°3°"...
Chiudono la prima parte due bombe a mano: "Merry Xmas" e "M.K.". La violenza e' tale che su "Merry Xmas" salta una corda alla chitarra di Tesio che e' costretto a ripiegare temporaneamente sulla tele di Godano.
Un pensiero mi trapassa il cervello e si impadronisce di me. Il fatto e' che loro adesso nell'intellighentia ci stanno dentro eccome, ne sono gli alfieri piu' accreditati: come ci si puo' aspettare che Godano 'senta' quelle parole come faceva allora?, puo' senz'altro interpretarle in onore e ricordo del ragazzo che fu, ma se le 'sentisse' gli consiglierei di farsi vedere. E da uno bravo.
Certo e' che sull'interpretazione non c'e' proprio niente da dire, e questo (almeno questa sera) e' decisamente vero per tutti e tre i Kuntz piu' uno.

Pausa.

Nel breve tempo prima del loro ritorno sul palco, Viktor mi confida che stiamo assistendo a un concerto molto diverso da quello di Torino, che deve ammettere che i Kuntz sono vivi (toh!) e che forse semplicemente quella sera erano presi male, o magari essendo inizio-tour dovevano ancora rodarsi. Capita. Sorrido: sono molto felice di essere arrivata a fine-tour allora!

La pausa, come si diceva, e' brevissima, tornano sul palco con "Ruggine" (diavoletto nera) che e' imponente, poi "Sotto la luna" a mo' di quiete prima della tempesta; anche qui decido che questo brano deve essere stato rimaneggiato o comunque e' nato un poco dopo Catartica visto che viene suonato (unico brano) con la lespaul "left": la sensazione e' che questa chitarra (quest'accordatura) sia arrivata in un momento appena successivo, dato che gia' a partire da "Il vile" viene utilizzata molto di piu'.
Altro cambio, torna la diavoletto rossa, alziamo lo sguardo e Godano e' sopra di noi a rumoreggiare ed e' un attimo prima che parta "Festa mesta": delirio, tripudio, hanno tenuto i grandi classici per il finale...
Ancora un cambio, diavoletto nera, iniziano a 'sporare' ed e' un piacere-sonico per le orecchie: Bergia ha una specie di corda con attaccati dei campanelli (?) con cui sfiora i piatti, Godano rumoreggia, Tesio arpeggia ed e' magia. Poi l'immancabile bacchetta di batteria a stuprare la chitarra, la spora continua ancor piu' nervosa, la tensione sale… un respiro brevissimo, Godano batte sulla bacchetta, tan-tan tan-tan-tan-tan tan-tan-tan-tan-tan: esplosione, "Sonica", un ruggito assoluto.
A chiudere il concerto ci pensa "Nuotando nell'aria" (ovviamente non-sottosopra, sulla diavoletto rossa) ed e' un gran lusso, il finale perfetto. Salutano, s'inchinano, escono; la diavoletto rossa e' poggiata sul rispettivo ampli, la strato legnosa (nuova?) accanto all'altro, sulla pedana della batteria, un feedback infinito ci avvolge: sale uno dei tecnici, stacca l'ampli di Tesio, poi quello di Godano, ultimo quello di Lagash.
Buio.

Avevo (ahime') letto che in altre occasioni avevano suonato "Musa" come tris-a-sorpresa e che la cosa non era piaciuta: confesso che dal lato dell'oceano dove mi trovavo mi era parsa una bellissima idea quella di mettere "Musa" dopo tutto quanto, ma forse ero solo io a pensarla cosi' e i Kuntz chissa', magari si sono adeguati... vabbeh, poco male.

Voglio salutare Tesio (ovviamente) e non ci mette molto a uscire: mi vede, mi viene incontro, viene fermato, chiacchiera, lo aspetto, si avvicina. "Come va in Canada?" chiede. "Freddo, ma bene" rispondo. Ringrazio per la serata e lo lascio andare, immagino sia distrutto: vorrei chiedergli questa storia di Pansonica, fino a che punto e' vera la mia teoria dei brani rimaneggiati, ma non importa: se fossi spavalda un quarto di quel che sembro proverei ad aspettare un attimo per fargli le mie domande ma lascio perdere: del resto anch'io sono distrutta, sono in giro da ieri, domani devo andare a Zurigo... va bene cosi'.
Sono felice di averli visti ancora una volta, felice di averlo fatto in questa occasione.

Mentre camminiamo verso l'albergo pero' realizzo qualcosa che non mi aspettavo: percepisco intimamente (credo) il sentimento dei cuneesi riguardo i brani suonati questa sera. Anche io (forse per la prima volta o forse lo sapevo gia' senza trovare il coraggio di ammetterlo) non li sento piu' come miei. E ci mancherebbe: non ho piu' 15 anni!
Non ce l'ho piu' con i fighetti, il loro atteggiamento mi scivola addosso come aria. Sono io la prof., quella che spiega, assegna compiti, mette voti, e nell'intellighentia a mio modo ci sono dentro anche io, o comunque ci sto entrando. Quella rabbia giovane non e' piu' mia: ne sopravvive un ricordo a suo modo tenero ma niente di piu'.
In questo lungo finesettimana quegli altri, il "nuovo amore", hanno parlato al mio cuore di oggi, se lo sono portato via delicatamente, mi hanno stregata. Questi hanno rievocato (con successo, sia chiaro) la bambina, ma inevitabilmente non hanno parlato a me.

E mi domando se i signori non l'abbiano fatto apposta: sono anni che il pubblico gli da dei venduti perche' non sono piu' "i Marlene Kuntz di un tempo" senza capire che la cosa non ha davvero nessun senso... e se il messaggio di fondo fosse proprio questo?, se il senso ultimo fosse quello di far capire quanto sia ridicolo cercare di sentirsi adolescenti quando non lo si e' piu'?

sabato 13 dicembre 2014

Paolo Benvegnu' @ Container - Grottammare

12 dicembre 2014

Le follie si possono fare solo per amore e solo quando l'amore e' intenso, altrimenti non si fanno, non ne vale la pena, non ci si spendono soldi, tempo e fatica: solo un grande amore puo' smuoverci a tal punto, e se leggendo capirete il mio grado di follia forse vi sarete fatti un'idea dell'amore.
Perche' la verita' e' che amo quest'uomo milanese (sic), la sua voce calda, roca e profonda, le parole (che come direbbe lui sono pietre ambiziose) il suo stile compositivo, cosi' come amo il gruppo di musicisti assolutamente geniali di cui ha imparato a circondarsi negli anni. E li amo quasi come amo i cuneesi anche se chiaramente in modo diverso: quelli sono un amore ancestrale, il colpo che ti arriva da ragazzo e non ti molla piu', una parte imprescindibile del mio essere; questi sono un amore maturo, adulto, cosciente, posato eppure intenso come pochi altri.

Salgo su un improbabile treno alle 17:40, arrivo a Fabriano in ritardo e perdo la coincidenza, sicche' mi ritrovo li', da sola, nel nulla. Ma e' noto che non sono una che si scoraggia o si arrende: chiamo un taxi. Si', da Fabriano.
Lungo la strada chiacchiero col tassista, persona carinissima, piacevole chiacchierata: questa mattina mi mandera' un messaggio per sapere se sto bene e com'e' andata a finire, ma questa e' un'altra storia e si dovra' raccontare un'altra volta.

Giungo in quel di Grottammare con l'acqua alla gola, il tempo di lasciare lo zaino col computer e la piccola valigia in albergo e sono gia' fuori nella notte alla non facile ricerca del locale: dopo aver camminato su e giu' un paio di volte chiedo a due ragazze dentro una macchina, anche loro sperdute come me, sicche' unendo gli sforzi raggiungiamo finalmente il posto.

Entro e mi guardo intorno: il palco e' poco piu' alto delle mie ginocchia, nella sala ci saranno si' e no cento persone (per sentire il disco dell'anno dal vivo?, davvero?, possibile?, davvero in questo paese non ci si accorge delle perle cui si danno i natali?) tutti troppo intimiditi per agguantare un posto in prima fila... se penso al pubblico delle grandi citta' mi viene da sorridere con affetto.
Poi pero' quando la musica del dj tace la gente vince un poco la timidezza e si avvicina al palco; lo faccio anch'io e mi ritrovo in prima fila, in una posizione fantastica per gustarmi la sezione ritmica, i miei prediletti.

I "Lettera 22" salgono sul palco accompagnati da un applauso di incoraggiamento: basso, batteria, tastiera e chitarra, attaccano un ottimo pop ben suonato. Il batterista e' interessante, la chitarrista (con una "godanica" diavoletto rosso-cupo) accompagna con arpeggi morbidi, il tastierista e cantante ha una bella voce scura e ben impostata, il bassista e' l'essenza portante dell'insieme.
Tra il secondo e il terzo brano sara' proprio il bassista a ringraziare il pubblico, i gestori del locale e Benvegnu': e' visibilmente in imbarazzo, si aggrappa con le mani al manico del basso... vorrei dirgli di non aver paura, che sono bravi, che comprero' il loro disco a fine serata: lo faro' poi, come faccio sempre in situazioni come questa. Suonano nove, forse dieci brani: l'ultimo lo chiudono con un'inaspettata coda noise da brivido che mi lascia senza fiato.
Silenzio.
Buio.

Mentre smontano e rimontano il palco vedo come dei pezzetti di carta colorati attaccati alle aste dei microfoni: plettri per Benvegnu' e Baldini (suona qualcosa col plettro, qualcosa no). Mi guardo intorno, ci saranno si' e no duecento anime: alla mia prima lezione quest'anno penso ci fossero piu' persone... fa un discreto effetto e ci sono tutte le premesse perche' ne venga un concerto stellare.

Dei Paolo Benvegnu' (un gruppo dietro un nome, un volto davanti a un gruppo) il primo a salire sul palco e' Franchi che va a sedersi dietro la batteria, proprio dritto davanti a me, e attacca il ritmo incalzante di "Nello spazio profondo": seguono Lazzeri, Baldini e per finire Benvegnu' (l'uomo): formazione scarna e grande assenza di Ridolfo Gagliano, ma anche cosi' e' un lusso, e' magia. Il secondo brano e' "Una nuova innocenza" e mi trafigge un pensiero: vuoi vedere che sti pazzi mi fanno tutto l'album in fila?, certo sarebbe fantastico, del resto e' un album da ascoltare tutto d'un fiato... ma no, sbaglio, passano direttamente a "Avenida silencio" e mentre la ascolto, mentre seguo cassa-rullante, mentre guardo a occhi spalancati Baldini suonare il bi-corde dell'intro (maddai e' un basso quello?, e' sempre stato un basso?, che meraviglia...) mi rendo conto che un'altra immagine si sta imponendo con forza davanti ai miei occhi: eggia', perche' quest'album l'ho ascoltato quasi costantemente negli ultimi tempi, ogni giorno lungo la strada da casa all'universita' e ritorno, camminando nel freddo autunno canadese, e l'ascolto ha accompagnato la mia strada, i miei passi sempre uguali, sempre a ritmo, percio' "Avenida silencio" per me e' il ponte sulla superstrada che da Hamilton va verso Toronto, lo sguardo a quella specie di cattedrale finto-gotica, la neve che la ricopre, gli aceri dall'altra parte della strada... e cos'e' infondo quella se non una via immersa nel silenzio, i cui rumori sono ovattati dal cadere della neve? Ogni mattina sentirsi ricordare che Roma e' morta in un giorno, la mia citta' che non e' piu' mia, il mio paese che in un certo sento non e' piu' mio anche se lo e' ancora e ne riconosco ogni angolo... Mi perdo un po' dietro questi pensieri e quasi non mi accorgo che siamo passati a "Feed the destruction", altro brano di bellezza sconcertante, uno di quelli che parlano al mio essere, al mio passato e al mio presente: e' incredibile come, quattro album su quattro su quattro, questi signori abbiano saputo cogliere le varie fasi della mia vita di adulta, almeno fin'ora.
E appunto, i Benvegnu' non sono solo Earth Hotel, ha/hanno/ha infilato quattro album uno meglio dell'altro e come ho avuto modo di dire Hermann ha ancora molto da raccontare: lo sanno anche loro per fortuna e ci suonano "Love is talking" (quel basso, ah quel basso!) poi "Moses" (che mi ricorda qualcuno) "Avanzate, ascoltate" (che mi ricorda un momento) e tornano su "Orlando" (che mi ricorda quel che non e' stato e non sara'). Troppo tutto insieme, mi stordisce: chissa' a cosa pensano quando preparano una scaletta, chissa' se capiscono l'effetto che puo' produrre la scelta di un ordine piuttosto che un altro... ma no, non lo sanno, non possono saperlo...
E' la volta di "Piccola pornografia urbana", mi accorgo quasi con stupore di quanto sia usato il capotasto mobile dal Nostro: ha fatto su e giu' per manico per tutta la durata del concerto. Sorrido: le dita di Lazzeri sono un fuoco: le vedo da lontano, sono troppo stordita dalla sezione ritmica, pero' ci sono, le sento e le godo.
Di nuovo un salto indietro, ma ancora piu' indietro, ed e' "La schiena", la mia, che viene scavata lentamente come e' accaduto fin dalla prima volta che ho sentito questo brano; anche qui mi accorgo di avere davanti agli occhi un'immagine, questa volta e' l'incrocio tra viale Marconi e via Pincherle a Roma, io-dottoranda che aspetto l'autobus per tornare a casa dall'universita', un velo di malinconia al ricordo della bambina che aveva paura di andar via lontano... Poi "Quando passa lei" e sono ancora piu' indietro (quanto tempo e' passato?, quante vite?, quante storie sotto le mie dita?) che mi strappa un sorriso benevolo verso qualcosa che infondo non posso dimenticare. Chiude la prima parte del concerto "Io ho visto" e sono tornata su un treno, uno dei tanti, l'Italia che scorre davanti ai miei occhi lucidi, e poi di nuovo quel divano... no. Mi riprendo, assaporo ogni nota, ogni colpo sincopato... meraviglia... Sorrido.

Pausa.
Un respiro breve, brevissimo.

Rientrano e Franchi porta in braccio una chitarra acustica; e' il turno di "Stefan Zweig" e sono miei i passi nella neve, quelli luminosi e perfetti lungo la via che arriva all'universita' a Hamilton, e la neve e' tutto intorno, su quell'acero dalle foglie di un rosso quasi innaturale, quello poco prima del piccolo slargo col praticello: dove sono stata fino ad ora?, davvero a volte, camminando, ascolto e mi sembra di non aver mai vissuto, che la vita dall'altra parte del mondo e' una vita diversa, di qualcuno che e' nato trentenne, dotato dei ricordi di un'altra persona... ho scattato fotografie ascoltando quest'album e ora si impongono prepotenti davanti ai miei occhi. Sul finale del brano Baldini e' alla batteria e Franchi si mette al basso: son bravi anche scambiati accidenti a loro, li guardo con occhi pieni di ammirazione. Poi "Hannah" che ha su di me un effetto strano: mi fa pensare a un padre con sua figlia, e' tornato a casa, la guarda mentre dorme e il suo sguardo e' il mio, leggo l'amore nei suoi occhi e mi intenerisce il cuore, e in un qualche senso divento io quel padre, finche' a un certo punto, come dal nulla, cambia tutto: lui si rivolge a me e io sono io, nella mia vecchia casa di testaccio, pochi giorni prima di partire, ed e' tutto sottosopra, la stanza e' vuota, gli scatoloni sono pieni ed e' un lungo addio. Ma non mi si stringe il cuore, no: sono sorprendentemente serena. Chiude la seconda parte "E' solo un sogno" e si', devo dire che e' bellissimo.

Pausa.
Un respiro ancora piu' breve.

Esce Benvegnu' da solo, imbraccia la chitarra e ci regala una versione dolcissima di "Andromeda Maria", chitarra e voce, commovente. Alla fine del brano escono anche gli altri, Franchi e' di nuovo alla chitarra acustica, parte l'arpeggio di "Sempiterni sguardi e primati", i miei occhi sono stampati sulle sue mani, cerco di appuntare mentalmente quello che sta suonando: quell'arpeggio e' bellissimo, me ne sono innamorata al primo ascolto. E quel brano e' bellissimo... sono io, sempre io, pazza, persa nel mondo che andavo cercando, ma sorrido a tutti e sto bene con tutti... Nel finale (come ci si attende) parte il coro a tre voci, Franchi-Baldini-Benvegnu', ma poi Baldini e Benvegnu', suonando su una corda sola a testa, invece di cantare le ultime linee, quelle che mi avrebbero stesa, attaccano 'I'm dreaming of a white xmas' in totale delirio, passano per un 'vogliamo vincere, la c1 non basta, vogliamo andare in b' (chissa' a quale squadra si riferiscono) e chiudono con un canto natalizio cattolico che al momento mi sfugge: ridiamo tutti. Il gran finale e' lasciato a "Cerchi nell'acqua", altro brano che da sempre mi da grande pace, serenita' e una specie di ottimismo: camminare senza chiedersi perche', purche' si cammini, purche' si vada avanti. Ottimo finale, bel modo di salutare... tre inchini, sorrisi, applausi, fine.

Devo parlare a queste persone, devo provare a spiegare loro che cosa ho fatto per essere qui stasera, fargli capire quanto sono felice di averlo fatto, quanto mi hanno dato in tutti questi anni: meritano di sapere che esiste una pazza scatenata che e' felice di attraversare l'Italia in orizzontale in una notte di inverno per ascoltarli suonare. Compro l'album dei Lettera 22 (ne riparleremo), qualche EP su richiesta esplicita del mio spacciatore e mi metto in attesa.

Il primo che vedo e' Baldini, lo ringrazio, gli racconto la storia di come sono arrivata li', lo ricopro di complimenti (del resto i suoi bassi sono davvero splendidi ed e' vero che finisco sempre per sintonizzarmici) e chissa', forse un po' lo commuovo; poi e' il turno di Franchi che recentemente ho anche finanziato su musicraiser (e sappiate che son convinta ne valga la pena percio' fateci un pensiero), mi offre da mangiare e da bere, poi ballo con loro due: mi avevano vista prendere appunti, guardarli a bocca aperta, seguirne ritmi e giri... uno non ci pensa, io almeno non ci penso, ma dev'essere una cosa che colpisce e fa piacere. Mi danno un passaggio sul furgone, Benvegnu' e' l'ultimo a salire, mi saluta, mi presento, gli racconto: lui non lo sa, loro non lo sanno, non possono sapere, ma quel che mi hanno dato in tutti questi anni e' qualcosa di enorme che non e' neanche facile da spiegare... a un certo punto durante il concerto aveva detto che andare a sentirli suonare e' "come tifare la Fiorentina o il Toro: non si vince mai...". Non sono d'accordo: io penso di aver vinto tutto, penso che e' stata una serata memorabile, che hanno fatto un gran concerto, che ne valeva la pena.
Io, la piccola emigrante, la matematica con l'animo rock: mi chiede se non mi manca avere dei limiti visto che il mio lavoro consiste nel tentare di sfondarli... com'e' buffo il mio lavoro, com'e' difficile spiegare in cosa consiste a chi non ci sta dentro: vorrei dirgli che io non sfondo un accidente, che vorrei capire come e' fatto il mondo, e' vero, ma mi riduco a cercare di avere un'idea vaga di una versione semplificata di un granello di polvere del mondo. Perche' il mondo vero non si puo' capire e allora ne facciamo modelli semplificati sperando almeno di poter capire quelli. Vorrei dire che il mio mestiere in questo senso non e' poi cosi' diverso dal suo, che il mio grande progetto di ricerca decennale e' quello di dire qualcosa della dinamica di un sistema appena perturbato, che un disturbo minuscolo potrebbe rompere tutto ma in realta' lo fa con garbo e forse infondo non rompe davvero tutto, o almeno io non riesco a crederci. Vorrei dirgli che i matematici sono degli eterni bambini che vivono costantemente imprigionati nei loro limiti, che passiamo la maggior parte del tempo a sentirci degli imbecilli, a sbattere la testa contro un muro, che abbiamo si e no cinque minuti di gioia immensa una volta l'anno quando si capisce una cosa bella, che il nostro costante spasmo di cercatori di verita' viene anche dal fatto che sentiamo ballare la terra sotto i piedi e abbiamo bisogno di qualcosa di inconfutabilmente vero... ma non ce la faccio, vorrei essere spavalda almeno un quarto di quel che sembro: riesco solo a dire (piu' o meno) che tutta la mia arte e' quella di sbattere la testa contro un muro ventiquattro ore su ventiquattro finche' prima o poi, ogni tanto, il muro non si crepa un pochino e io capisco qualcosa: che poi infondo e' un riassunto sconnesso di quel che vorrei dire.
Vorrei anche dirgli che una volta mi ha abbracciata, a Roma, alla casa del jazz, tre anni e mezzo fa, la volta in cui ho deciso che Baldini (come ho gia' detto) per occhiali, barba e statura mi faceva pensare a un amico che non c'entra niente (e da quella volta lui per me e' "il P.B. dei Benvegnu'", anche se ieri ho scoperto che lui e' piu' alto del mio amico). Vorrei dire a Benvegnu' che quella volta, per la prima volta, avevo capito che ai loro occhi di musicisti noi-pubblico siamo qualcosa di simile a quello che sono i miei studenti per me: qualcuno a cui dare qualcosa, qualcuno che se ti restituisce un sorriso e un grazie sinceri ti spalanca il cuore, anche se poi non te ne ricordi: non ci avevo mai pensato prima... ma mi sento troppo ridicola all'idea di dire tutto questo e lascio perdere.

Torno in albergo camminando sul lungomare, l'Adriatico che non avevo mai visto, il mare che non vedo da mesi: ho il lago ma non e' lo stesso. Il mare d'inverno e' bellissimo e per fortuna quei quattro soldi per andare al mare, di notte, a immaginare, adesso ce li ho.

E stasera a Padova dal primo amore.

venerdì 12 dicembre 2014

Ciao, sono Anna!

Esisto per davvero ed eccomi qui! E' stata una lunga ricerca, quella di un esordio convincente, dopo che la mia prolifica amica Liv ha dato vita e animato questo blog per tutti questi mesi... Come ormai è evidente alla fine ho direttamente rinunciato all'idea di un esordio convincente e niente... si comincia!

 Se Liv si sta specializzando in cronache da oltreoceano (sigh) e in recensioni musicali, i miei cavalli di battaglia sono i seguenti:

 il pianto del panda ricercatore italiano, classico intramontabile che spero riuscirò a declinare con un minimo di originalità;

 libri che mi è capitato di leggere, con recensioni che oscilleranno da "oh mio dio, la verità esiste e si trova su amazon in copertina rigida, consegna in 2 giorni" a feroci stroncature, che sono sempre assai divertenti da scrivere

 film, con gli stessi criteri di cui sopra.

 pensieri a caso, non escludo eccessi ciceroniani "o tempora o mores" e sbrodolamenti canari "guardate quant'è carina la mia cucciola mentre tenta di mandare in corto l'albero di natale mordendo le luci" ma spero di tenere mediamente un dignitoso contegno.

 Ok, scritta la dichiarazione d'intenti, vado a procacciarmi il cibo. Ci risentiamo, probabilmente con 10 dicembre di George Saunders.




domenica 7 dicembre 2014

Suggerimento

E va bene, a testa in giu' era difficile da capire: cosi' va un po' meglio?




(...certo che mi mancavano Polly e Mina: poter mettere finalmente le mani su una chitarra - intendo una che io possa suonare davvero - dopo quattro mesi da la sensazione di un lusso sfrenato, anche se mi ritrovo orrendamente arrugginita...)