Ci sono delle storie che parlano, dei fatti che hanno un che di "magico" che sarebbe meglio non vada perduto: la storia di Polly e' una di queste.
Non mi era mai venuto in mente di raccontarla cosi', pubblicamente: c'e' dentro un momento della mia vita estremamente particolare, molto, troppo personale. Eppure chissa', forse e' una storia universale e a riscriverla (e a condividerla) ne ricavero' qualcosa.
Tutto comincia una notte di circa due anni e mezzo fa, forse un po' di piu', comunque e' stato prima di discutere la tesi di dottorato; era un periodo sospeso, in cui mi trascinavo avanti per inerzia: capita.
All'epoca il mio arsenale chitarristico era costituito da una meravigliosa chitarra acustica amplificabile, Mina,
regalo di laurea del mio altrettanto meraviglioso papa', nonche' varie chitarre piu' o meno da battaglia di cui in ordine sparso:
1. una chitarra classica "da spiaggia" (Laura),
2. una chitarra senza corpo e muta (Notturna), altro regalo del mio meraviglioso papa', risalente a tanti anni fa e regalatami al grido di "cosi' se suoni la notte non disturbi nessuno" (...)
3. una Ibanez gio quindicenne completamente nera (Luciana, cggcgc oppure dagdad)
4. una Yamaha pacifica bianca e rossa (Sonica, std).
La chitarra elettrica, appunto, non mi mancava; certo, nel cuore c'era il desiderio di una chitarra elettrica di cui innamorarsi, una "signora", ma era cosi', un trastullo: uno di quei desideri fatti per rimanere tali.
La notte in questione faccio un sogno.
Per la precisione sogno di andare in quello che era il negozio di musica di riferimento dell'epoca del liceo, il posto dove con gli amici si andava a sbavare su oggetti che non ci saremmo mai potuti permettere, alla ricerca di una chitarra elettrica "seria". Purtroppo pero' il negozio era ormai semivuoto e il titolare mi diceva che da anni gli affari andavano male e non poteva piu' tenere strumenti di alto livello. Provavo una frustrazione enorme.
Al risveglio, dopo averne parlato, avevo capito che il significato fosse evidente: avevo bisogno di nuovi stimoli, nuove energie, cercavo qualcosa di bello e (ahime') sapevo di non poterlo trovare intorno a me.
Circa un anno dopo, in effetti poco prima di aprire questo blog, quando ormai non pensavo piu' a quel sogno, forse uno o due giorni prima di natale, ero nel negozio di musica di riferimento dell'epoca del liceo (che non solo non e' semivuoto ma anzi, da allora si sono allargati e sono diventati uno dei riferimenti di mezza roma) alla ricerca di un regalo per il mio papa'.
Ero in fila alla cassa quando mi ha chiamata un'amica che non vedevo da anni perche' si e' trasferita in Irlanda: mi dice di essere tornata per le vacanze e mi chiede di incontrarci.
"Sono in giro per regali di natale" le dico. "Quanto ti fermi a Roma?"
"Poco, devo fare altri giri... ma dove sei?"
"Adesso da Your Music, poi pensavo di andare a viale Marconi"
"Dai, ti raggiungo".
Felice di rivedere la mia amica pago ed esco fuori in attesa di lei.
Mentre sono li' mi accorgo con stupore che il suddetto negozio ha recentemente comprato un altro locale, proprio accanto a quello "storico": mi avvicino con curiosita' alla vetrina e realizzo che si tratta di una dependance contenente solo (solo!) gibson e fender. Il paradiso di ogni chitarrista.
Fa freddo, e' buio, la mia amica ancora non si vede, davanti a me un locale chiuso, riscaldato, illuminato espone un centinaio di chitarre tra gibson e fender: "entro tanto per stare al caldo, tanto per guardare un po' come quando si era ragazzini, tanto per aspettare la mia amica..."
Entro dunque; il tipo al bancone alza leggermente lo sguardo, mi lancia un'occhiata obliqua e riabbassa la testa sulla cosa che stava leggendo.
Ed e' li' che ho visto Polly.
Era alto, in un angolo scomodo per la visuale, eppure e' stato il primo punto dove ho guardato.
E non sono riuscita a staccare lo sguardo per qualche minuto.
Poi mi riprendo, stacco gli occhi e faccio un rapido giro con lo sguardo: mi accorgo che Polly e' tra le pochissime (se non l'unica) a non avere il cartellino.
"Quanto costa quella?" domando puntando il dito; il venditore alza gli occhi.
"La mustang?" domanda stupito. Faccio di si' con la testa.
"Millessei".
Mi si stringe lo stomaco, chissa' poi perche': il prezzo e' assolutamente ragionevole e del resto mica ero li' per comprare una chitarra.
Rimango in silenzio per qualche secondo ancora, poi trovo coraggio.
"Posso vederla da vicino?"
Si alza, la prende con delicatezza e me la fa vedere: dio se e' bella!, la vernice azzurra un po' scrostata, la palettona, il manico sottile, il corpo sinuoso...
"Posso toccarla?"
Me la porge: dio che legno!, morbido e solido allo stesso tempo, il peso giusto, le giuste proporzioni...
"Posso provarla?", il tono della mia voce e' sempre piu' sofferente all'idea che non sara' mai mia.
La collega a un amplificatore, mi indica uno sgabello.
Suono, palpo, accarezzo, percuoto: suona come dovrebbe suonare la mia chitarra.
"E' perfetta" dico ad alta voce.
"Gusti..." risponde il negoziante.
"Ha il suono mio giusto, e' perfetta!" ribatto. Lui mi sorride come se avessi superato una prova.
Suono ancora un poco, poi mi rendo conto che devo lasciarla.
"Grazie" gli dico nel restituirla: credo di avere lo sguardo piu' triste del mondo.
Da quel giorno, per un mese e mezzo, ho spesso pensato a lei anche se ero sicura che qualcuno l'avesse gia' notata e se la fosse portata via.
Continuavo a ripetermi che, anche se tutto sommato me lo potevo permettere, non si possono spendere mille-e-seicento euro per un giocattolo: non sono una musicista, la chitarra per me e' un hobby, e' una spesa immorale!
...eppure ci pensavo.
Poi un giorno mi viene chiesto un passaggio in macchina in un posto a cento metri dal negozio in questione.
"Se trovo parcheggio la' davanti, se il negozio e' aperto e se lei e' ancora li', giuro che la compro."
Lo ho detto sapendo che non sarebbe accaduto: non si trova mai parcheggio la' davanti, sono le due del pomeriggio, e anche fosse beh, figuriamoci se non me l'hanno gia' portata via...
Ma poi...
Poi il parcheggio c'e', il negozio e' aperto e lei... lei e' li'!
"Non l'ha vista nessuno?" chiedo.
"No..." risponde.
"Millessei eh?"
"Millessei"
Chiudo gli occhi, inspiro, espiro.
"Va bene, la prendo"
Mi scrive la cifra su un pezzo di carta e mi dice di portarla nel locale principale per pagare.
Al bancone un ragazzo mi chiede quale avessi preso.
"La mustang" dico sorridendo.
"Davvero??? E come hai fatto a convincerlo?" dice riferendosi al tipo dell'altro locale.
"In che senso?, il suo lavoro e' vendere chitarre: gli ho detto che la compravo"
"Gia', ma lui non voleva venderla: si era dato sei mesi con l'idea di scoraggiare chiunque e poi portarsela a casa quindi... come hai fatto?"
Ora capisco.
"Gli ho detto che era perfetta..."
"Te la sei meritata..."
No, non me la sono meritata: e' lei che mi ha chiamata.
Da quando e' entrata nella mia vita il grande cambiamento c'e' stato: e' stato il primo regalo che io mi sia mai fatta, e' stato il segno di cui avevo bisogno per imparare a prendere quelle decisioni che, per quanto sgradevoli, scomode, dolorose, sono necessarie per essere felici.
L'ho mostrata agli amici dicendo "E' calda come PollyJean".
"Polly sarebbe un bel nome" ha risposto una mia amica "calda e sbarazzina figlia dei fiori".
Polly che vuole un cracker,
PollyJean,
Polly.
Poi vabbeh, ho avuto bisogno di un altro anno per riprendermi e reimparare a camminare, ma questa e' un'altra storia.