lunedì 30 giugno 2014

Kasabian - 48:13 [2014]

Copertina di un imbarazzante fucsia (anzi fuschia) acceso, il nome del gruppo in alto e appena sotto, incolonnate, le durate delle tracce (non i loro titoli, anzi, proprio i loro titoli, o almeno quelli ufficiali) e in basso il titolo dell'album, la somma dei minutaggi, la durata totale dell'ascolto: quarantotto minuti e tredici secondi.

Play.

Ho una specie di amico (stare a descrivere per davvero il nostro rapporto e' decisamente troppo complicato: siamo sicuramente molto legati, ma e' difficile dire esattamente cosa siamo) che e' la mia principale fonte di musica da un po' di anni a questa parte: la maggior parte delle cose che mi sono arrivate alle orecchie, quando non le ho trovate per conto mio, me le ha fatte sentire lui. Quando parlo di lui in questa veste lo chiamo "il mio spacciatore".
Spesso mi ha fatto sentire album ben piu' che dignitosi, a volte me ne ha fatti sentire di bellissimi (di quelli che si sentono a ripetizione per settimane o addirittura che ti lasciano un segno addosso), ogni tanto ha qualche cosa di gradevole ma non emozionante, raramente qualche caduta di stile.

Come collocare l'ultima fatica dei Kasabian?
Analizzandolo freddamente mi viene da dire "gradevole ma non emozionante".
Non che i Kasabian siano mai stati fonte di grande ispirazione, non che mi aspettassi l'album della vita: si tratta di una band come troppe altre, che e' partita promettendo grandi cose e si e' sgonfiata album dopo album.

Dentro questo 48:13 ci trovi alcune delle cadute di stile dei Muse, qualche ridicolo tentativo di fare qualcosa che assomigli al rap (ma se non sei negro e/o affamato e/o incazzato non puoi fare rap, non viene bene: se sei un fighetto inglese viene ancora peggio), il tutto condito con le solite strizzatine d'occhio alle discoteche.

E pero'... e pero'... pero' non riesco a smettere di ascoltare questo 48:13.

Sara' che e' un periodo che mi piace stare in metropolitana con i miei cuffioni isolanti (vabbeh, questo da sempre...) a sentire musica ritmata e ballare, si' ballare, cosa che non ho mai fatto in vita mia (chi mi vede a volte sorride: se me ne accorgo ricambio il sorriso e continuo a ballare).

E va detto, 48:14 si presta benissimo al ballo in metropolitana: tutto sommato forse non e' nient'altro che una danza metropolitana post-moderna, chissa'. E' un album sicuramente omogeneo, niente che spicchi in un senso o nell'altro, niente che rimanga veramente impresso nella memoria, eppure ha una sua strana energia coinvolgente.

Allora ben vengano le cadute di stile, gli album che non emozionano il cuore o la testa ma si fanno ascoltare e ballare anche stando da soli in metropolitana, quelli che non ti dicono poi molto, pero' sei li' e li ascolti e te ne freghi di tutto il resto: infondo siamo fatti anche di questo.

Lista delle tracce:

1:08      (Shiva)
4:01      Bumblebleee
4:45      Stivie
0:48      (Mortis)
3:40      Doomsday
6:53      Treat
4:48      Glass
4:18      Explodes
1:19      (Levitation)
4:45      Clouds
3:00      Eez-Eh
4:27      Bow
4:22      S.P.S.

giovedì 26 giugno 2014

preCanada - Il biglietto

Inauguro oggi una nuova rubrica di durata necessariamente temporanea. Perche' mai?, mah... forse per godermi il momento fino infondo.

Ho appena comprato il biglietto.

L'idea di stare (almeno) due anni dall'altra parte dell'oceano fa una certa impressione.
Questo e' forse il momento in cui sento maggiormente cio' che sta per succedere: prima era troppo presto per preoccuparsene, dopo saro' sovrastata dalla nuova vita e smettero' di farlo.
Non riesco ad averne veramente paura, ormai mi conosco abbastanza da sapere che andra' tutto bene, eppure ho un po' di ansietta... ma e' normale, no?

Questa citta' mi ha regalato la primavera piu' bella da che mi ricordi e gliene sono profondamente grata: non esiste niente comparabile al colore del cielo di Roma in primavera,


e gli odori dei fiori, e le campane che suonano...

Una volta qualcuno mi ha detto che Roma e' stronza perche' ti fa sudare, ti fa correre, vuole essere conquistata, e tu sei li' che corri, la rincorri, solo per quei cinque minuti di poesia che ti regala ogni tanto... ma accidenti se ne vale la pena!, e del resto si sa che ci innamoriamo sempre e solo degli stronzi...

Mi manchera'.
Mi manchera' la mozzarella.
Mi manchera' la pizza.
Mi manchera' il barista sotto casa che mi prende in giro perche' mangio due cornetti a colazione.
Mi manchera' il vino.
Mi manchera' il rumore del Tevere.
Mi mancheranno i suppli' (dio, questo e' un vero colpo al cuore...).

Mi manchera' tutto questo, ma il futuro e' talmente luminoso da eccitarmi.



















































...eppoi a Toronto fanno dei gran bei concerti!

lunedì 23 giugno 2014

Rolling Stones @ Circo Massimo - Roma

22 giugno 2014

Ci sono cose che bisognerebbe aver fatto prima di morire: assistere a un concerto degli Stones e' una di queste.

Preambolo.
Domenica scorsa ero a pranzo da mio padre: scroccavo un pasto e un passaggio a Ciampino in un colpo solo. ("Ehi, che c'entra?, stavamo parlando degli Stones!" ...calma, calma, la volete la storia?).
A un certo punto, senza nascondere il suo disappunto, mi dice di dover partire per lavoro tra giovedi' e lunedi' "...e avevo due biglietti per i Rolling Stones che mi aveva regalato un paziente... Tua sorella dice che ha da fare e non le interessa poi cosi' tanto: tu li vuoi?, senno' li regalo a..." ovviamente non gli lascio neanche finire la frase. Entro cosi' in possesso dei due prestigiosissimi rettangoli rossi.

Poi appunto, quel giorno dovevo partire, percio' la cosa e' passata in secondo piano fino ad oggi quando ho mandato un messaggio ai miei amici piu' cari: "ho due biglietti per stasera e non ce la faccio a scegliere tra uno di voi... scannatevi pure!". Vado con la prima che si fa avanti.

Arriviamo poco dopo le otto, e' il tramonto, il cielo di Roma ci regala un sorriso, il Circo Massimo gronda di persone: bisogna avere un'idea delle dimensioni del posto per capire quanta gente ci sia...


John Mayer sta gia' suonando: peccato averne perso un pezzo.
Ci sediamo sul prato a chiacchierare, a gustarci la serata, a bestemmiare le zanzare (lei!, io non sono una preda tipicamente apprezzata mentre lei si': di solito mi funge da antizanzare umano...). Il ragazzo fa davvero un bel blues, va detto. Ci guardiamo intorno e ci rendiamo conto di una cosa sorprendente: siamo nell'eta' media, ed e' per me un evento talmente raro che mi commuovo. Ci sono personaggi che potrebbero essere mio padre, vero, ma ci sono anche i ventenni: se e' per questo ci sono anche i bambini, ok, ma loro ci sono perche' sono venuti con i genitori (che quindi hanno al massimo dieci anni piu' di me, forse meno...). Forse solo gli inventori del Rock&Roll possono vantare un pubblico cosi' eterogeneo.

In tutto questo Mayer smette di suonare, saluta e se ne va, il sole si va a nascondere dietro il Tevere, scende la notte.

Appena prima delle dieci le casse tacciono e le luci si spengono. Segue un lunghissimo istante di silenzio assoluto e poi un boato: sugli schermi partono immagini psichedeliche rosso fuoco, poi un tonfo. Altro boato della folla e parte "Jumpin' Jack Flash". Cosi'.
"Ciao Roma! Ciao Italia!" grida Mick alla fine del brano, visibilmente entusiasta di essere a Roma, a suonare in un posto millenario (e lui, loro, sono altrettanto millenari in un certo senso...). Seguono in rapida successione "Let's spend the night together", "It's only rock&roll (but I like it)", "Tumbling dice", "Streets of love", "Doom and gloom": la mia mente fa un'associazione immediata.
"E' qualche tempo che facciamo sta cosa del brano a richiesta via web: questa volta ha vinto "Respectable" quindi eccovela qui" dice Jagger e invita John Mayer a salire sul palco e a suonare con loro: il pubblico e' in delirio. E poi ancora "Out of control" e "Honky Tonk Women": ho perso il conto di quante camiciole abbia cambiato fin'ora, il tutto con un'energia incredibile.
Jagger presenta la band, prima le comparse, in inglese, poi la band vera e propria, rigorosamente in italiano: "Alla chitarra Ronnie Wooooood"; boato. "Alla batteria Charlie Roberrrrrrrto Waaaaatts"; occhei, si e' lasciato prendere la mano. "Alla chitarra... mister... Keith... Richaaaaaaaards"; il Circo Massimo esplode.
Jagger lascia il microfono a mister Keith che ci suona "You got the silver". Pausa-bombola-d'ossigino dira' qualcuno particolarmente generoso, pausa-sniffatina dira' qualcun altro piu' realisticamente (essi', ma gli altri la sniffatina quando la fanno?, penso io in uno slancio di altruismo).
Mick rientra e ci spara "Can't be seen"; corre, salta, balla, aizza il pubblico come non mai (si', decisamente pausa sniffatina!).
"L'italia vincera' la coppa del mondo" dice in italiano "buona fortuna per martedi': penso vincera' due a uno!"; qualcuno applaude, qualcun altro si irrigidisce: enno' Mick, 'ste cose non si dicono...
Il finale e' un delirio di bombe a mano del Rock&Roll: "Midnight rambler", "Miss you", "Gimme shelter" (duettata con la corista, fa venire i brividi), "Star me up" e una clamorosa "Sympathy for the devil".

Pausa.
La mia amica che commenta "Mio padre ha l'eta' loro, c'ha la prostata, a st'ora avrebbe gia' dovuto essere andato in bagno piu' volte...". Ehggia', i LSD hanno proprio ragione.
Qualcuno pensa che sia finito tutto e si avvia verso le uscite: ma come si puo'?, ti pare? Ovviamente rientrano dopo neanche cinque minuti: pausa pipi', sniffatina e via, si riparte a razzo: "Brown sugar", "You can't always get what you want" e l'immancabile chiusura con "Satisfaction", con una coda chilometrica di puro Rock&Roll e fuochi d'artificio rossi e bianchi che esplodono sull'ultima pennata di Richards.

E' evidente che Darwin non era un cretino: la selezione naturale esiste e comporta che qualcuno possa ritrovarsi a oltre settant'anni, dopo (durante) una vita di eccessi, a saltare come un ventenne. Loro possono.

sabato 21 giugno 2014

Polly

Ci sono delle storie che parlano, dei fatti che hanno un che di "magico" che sarebbe meglio non vada perduto: la storia di Polly e' una di queste.

Non mi era mai venuto in mente di raccontarla cosi', pubblicamente: c'e' dentro un momento della mia vita estremamente particolare, molto, troppo personale. Eppure chissa', forse e' una storia universale e a riscriverla (e a condividerla) ne ricavero' qualcosa.

Tutto comincia una notte di circa due anni e mezzo fa, forse un po' di piu', comunque e' stato prima di discutere la tesi di dottorato; era un periodo sospeso, in cui mi trascinavo avanti per inerzia: capita.

All'epoca il mio arsenale chitarristico era costituito da una meravigliosa chitarra acustica amplificabile, Mina,


regalo di laurea del mio altrettanto meraviglioso papa', nonche' varie chitarre piu' o meno da battaglia di cui in ordine sparso:

1. una chitarra classica "da spiaggia" (Laura),
2. una chitarra senza corpo e muta (Notturna), altro regalo del mio meraviglioso papa', risalente a tanti anni fa e regalatami al grido di "cosi' se suoni la notte non disturbi nessuno" (...)
3. una Ibanez gio quindicenne completamente nera (Luciana, cggcgc oppure dagdad)
4. una Yamaha pacifica bianca e rossa (Sonica, std).

La chitarra elettrica, appunto, non mi mancava; certo, nel cuore c'era il desiderio di una chitarra elettrica di cui innamorarsi, una "signora", ma era cosi', un trastullo: uno di quei desideri fatti per rimanere tali.

La notte in questione faccio un sogno.
Per la precisione sogno di andare in quello che era il negozio di musica di riferimento dell'epoca del liceo, il posto dove con gli amici si andava a sbavare su oggetti che non ci saremmo mai potuti permettere, alla ricerca di una chitarra elettrica "seria". Purtroppo pero' il negozio era ormai semivuoto e il titolare mi diceva che da anni gli affari andavano male e non poteva piu' tenere strumenti di alto livello. Provavo una frustrazione enorme.

Al risveglio, dopo averne parlato, avevo capito che il significato fosse evidente: avevo bisogno di nuovi stimoli, nuove energie, cercavo qualcosa di bello e (ahime') sapevo di non poterlo trovare intorno a me.

Circa un anno dopo, in effetti poco prima di aprire questo blog, quando ormai non pensavo piu' a quel sogno, forse uno o due giorni prima di natale, ero nel negozio di musica di riferimento dell'epoca del liceo (che non solo non e' semivuoto ma anzi, da allora si sono allargati e sono diventati uno dei riferimenti di mezza roma) alla ricerca di un regalo per il mio papa'.
Ero in fila alla cassa quando mi ha chiamata un'amica che non vedevo da anni perche' si e' trasferita in Irlanda: mi dice di essere tornata per le vacanze e mi chiede di incontrarci.

"Sono in giro per regali di natale" le dico. "Quanto ti fermi a Roma?"
"Poco, devo fare altri giri... ma dove sei?"
"Adesso da Your Music, poi pensavo di andare a viale Marconi"
"Dai, ti raggiungo".

Felice di rivedere la mia amica pago ed esco fuori in attesa di lei.
Mentre sono li' mi accorgo con stupore che il suddetto negozio ha recentemente comprato un altro locale, proprio accanto a quello "storico": mi avvicino con curiosita' alla vetrina e realizzo che si tratta di una dependance contenente solo (solo!) gibson e fender. Il paradiso di ogni chitarrista.
Fa freddo, e' buio, la mia amica ancora non si vede, davanti a me un locale chiuso, riscaldato, illuminato espone un centinaio di chitarre tra gibson e fender: "entro tanto per stare al caldo, tanto per guardare un po' come quando si era ragazzini, tanto per aspettare la mia amica..."

Entro dunque; il tipo al bancone alza leggermente lo sguardo, mi lancia un'occhiata obliqua e riabbassa la testa sulla cosa che stava leggendo.

Ed e' li' che ho visto Polly.

Era alto, in un angolo scomodo per la visuale, eppure e' stato il primo punto dove ho guardato.
E non sono riuscita a staccare lo sguardo per qualche minuto.

Poi mi riprendo, stacco gli occhi e faccio un rapido giro con lo sguardo: mi accorgo che Polly e' tra le pochissime (se non l'unica) a non avere il cartellino.

"Quanto costa quella?" domando puntando il dito; il venditore alza gli occhi.
"La mustang?" domanda stupito. Faccio di si' con la testa.
"Millessei".
Mi si stringe lo stomaco, chissa' poi perche': il prezzo e' assolutamente ragionevole e del resto mica ero li' per comprare una chitarra.
Rimango in silenzio per qualche secondo ancora, poi trovo coraggio.
"Posso vederla da vicino?"
Si alza, la prende con delicatezza e me la fa vedere: dio se e' bella!, la vernice azzurra un po' scrostata, la palettona, il manico sottile, il corpo sinuoso...
"Posso toccarla?"
Me la porge: dio che legno!, morbido e solido allo stesso tempo, il peso giusto, le giuste proporzioni...
"Posso provarla?", il tono della mia voce e' sempre piu' sofferente all'idea che non sara' mai mia.
La collega a un amplificatore, mi indica uno sgabello.
Suono, palpo, accarezzo, percuoto: suona come dovrebbe suonare la mia chitarra.
"E' perfetta" dico ad alta voce.
"Gusti..." risponde il negoziante.
"Ha il suono mio giusto, e' perfetta!" ribatto. Lui mi sorride come se avessi superato una prova.
Suono ancora un poco, poi mi rendo conto che devo lasciarla.
"Grazie" gli dico nel restituirla: credo di avere lo sguardo piu' triste del mondo.

Da quel giorno, per un mese e mezzo, ho spesso pensato a lei anche se ero sicura che qualcuno l'avesse gia' notata e se la fosse portata via.
Continuavo a ripetermi che, anche se tutto sommato me lo potevo permettere, non si possono spendere mille-e-seicento euro per un giocattolo: non sono una musicista, la chitarra per me e' un hobby, e' una spesa immorale!
...eppure ci pensavo.

Poi un giorno mi viene chiesto un passaggio in macchina in un posto a cento metri dal negozio in questione.
"Se trovo parcheggio la' davanti, se il negozio e' aperto e se lei e' ancora li', giuro che la compro."

Lo ho detto sapendo che non sarebbe accaduto: non si trova mai parcheggio la' davanti, sono le due del pomeriggio, e anche fosse beh, figuriamoci se non me l'hanno gia' portata via...
Ma poi...
Poi il parcheggio c'e', il negozio e' aperto e lei... lei e' li'!

"Non l'ha vista nessuno?" chiedo.
"No..." risponde.
"Millessei eh?"
"Millessei"
Chiudo gli occhi, inspiro, espiro.
"Va bene, la prendo"

Mi scrive la cifra su un pezzo di carta e mi dice di portarla nel locale principale per pagare.
Al bancone un ragazzo mi chiede quale avessi preso.
"La mustang" dico sorridendo.
"Davvero??? E come hai fatto a convincerlo?" dice riferendosi al tipo dell'altro locale.
"In che senso?, il suo lavoro e' vendere chitarre: gli ho detto che la compravo"
"Gia', ma lui non voleva venderla: si era dato sei mesi con l'idea di scoraggiare chiunque e poi portarsela a casa quindi... come hai fatto?"
Ora capisco.
"Gli ho detto che era perfetta..."
"Te la sei meritata..."

No, non me la sono meritata: e' lei che mi ha chiamata.

Da quando e' entrata nella mia vita il grande cambiamento c'e' stato: e' stato il primo regalo che io mi sia mai fatta, e' stato il segno di cui avevo bisogno per imparare a prendere quelle decisioni che, per quanto sgradevoli, scomode, dolorose, sono necessarie per essere felici.

L'ho mostrata agli amici dicendo "E' calda come PollyJean".
"Polly sarebbe un bel nome" ha risposto una mia amica "calda e sbarazzina figlia dei fiori".

Polly che vuole un cracker,
PollyJean,
Polly.


Poi vabbeh, ho avuto bisogno di un altro anno per riprendermi e reimparare a camminare, ma questa e' un'altra storia.

sabato 14 giugno 2014

Er Bon Governo

Un bon governo, fijji, nun è cquello
Che vv'abbotta l'orecchie in zempiterno
De visscere pietose e ccor paterno:
Puro er lupo s'ammaschera da aggnello.

Nun ve fate confonne: un bon governo
Se sta zzitto e ssoccorre er poverello.
Er restante, fijjoli, è ttutt'orpello
Pe accecà ll'occhi e ccomparì a l'isterno.

Er vino a bbommercato, er pane grosso,
Li pesi ggiusti, le piggione bbasse,
Bbona la robba che pportàmo addosso...

Ecco cos'ha da fà un governo bbono;
E nnò ppiàggneve er morto, eppoi maggnasse
Quant'avete, e llassavve in abbandono.

G. Belli, 25 settembre 1836

martedì 3 giugno 2014

Playlist del giorno

01. Io sto bene [CCCP - Fedeli alla linea]
02. Be comfortable, creature [Explosions in the sky]
03. Go tell the women [Grinderman]
04. Discolabirinto [Subsonica]
05. Feeling good [Muse]
06. Vecchio [Thegiornalisti]
07. Shiny happy people [R.E.M.]
08. Get up stand up [B. Marley]
09. Halleluwah [Can]